Chiudere tutte le scuole d’Italia, di ogni ordine e grado, in modo da ridurre al minimo i contagi da Coronavirus: è una delle possibili risposte operative per evitare il contagio, che le istituzioni e i responsabili della Salute pubblica esamineranno la mattina di martedì 25 febbraio.
La decisione – auspicata anche da associazioni di categoria, come Scuola Bene Comune, e alcune organizzazioni sindacali – verrà presa durante il vertice tra il Governo e le Regioni, finalizzato a proprio trovare un’iniziativa comune che coinvolga indistintamente gli enti locali sul territorio nazionale, considerando l’espandersi, ora dopo ora, del contagio (con 230 persone colpite e 6 decessi).
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In base alle informazioni che disponiamo, l’impressione è che la chiusura delle scuole almeno fino al 1° marzo sia più di una eventualità.
Una conferma indiretta è arrivata dalla messa in stand by, da parte del Governo, della richiesta formulata dei governatori di Marche e Calabria di bloccare le lezioni per fronteggiare l’emergenza Coronavirus.
Ma anche dalle parole del capo della protezione civile, e commissario straordinario all’emergenza, Angelo Borrelli, orientate a realizzare un coordinamento unitario e delle decisioni comuni, piuttosto che aperte alla frammentarietà derivante da iniziative territoriali.
La stessa ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, ha detto “al momento ci sono scuole chiuse in alcune Regioni come misura precauzionale”, ma “la situazione è in evoluzione, stiamo valutando tutti gli scenari”.
La possibilità che le 8.200 istituzioni scolastiche italiane possano chiudere per diversi giorni rimane quindi più che plausibile.
In tal caso, le diverse situazioni regionali e provinciali di contagio creerebbero dinamiche diverse.
Laddove è stato deciso di non fare uscire nessuno di casa, se non per motivi di urgenza, come nel basso lodigiano, il problema non si pone: le famiglie si ritroverebbero unite nelle proprie abitazioni.
Nella maggior parte delle regioni (ad esempio al Centro-Sud), però, non vi sono condizioni di questo genere, perchè le altre attività quotidiane, ad iniziare da quelle lavorative, non sarebbero precluse: i genitori, quindi, continuerebbero ad andare al lavoro.
Così le famiglie si ritroverebbero obbligate ad organizzarsi, con pochissimo tempo a disposizione, per trovare soluzioni relative al “controllo” dei loro figli per tutto il tempo normalmente passato a scuola.
Il problema è particolarmente sentito in quei nuclei familiari dove i genitori lavorano entrambi ed i figli hanno un’età tale da non essere autonomi: il disagio, quindi, si creerebbe in particolare per i bambini della scuola dell’infanzia e primaria. E anche dei primi anni delle scuole medie.
Parliamo di circa quattro milioni di bambini: in pratica, tutti quelli che hanno fino a 11-12 anni e che frequentano la scuola.
Alcune aziende, nelle ultime ore, si sono poste il problema. Una di queste è la Condé Nast, che conta 380 dipendenti milanesi del gruppo editoriale, per lunedì 24 febbraio, primo giorno di stop delle lezioni in Lombardia, ha deciso di concedere una giornata a casa, per permettere a tutti, soprattutto alle dipendenti con figli, di organizzarsi al meglio.
Fedele Usai, amministratore delegato dell’azienda meneghina, ha detto: “Non c’è nessun allarmismo, però preferiamo prenderci mezza giornata per definire chi può lavorare da casa, perché magari viene da zone vicine a quella del focolaio o per motivi personali. Il 65-70% delle persone che lavora con noi è donna e madre e questa settimana le scuole a Milano sono chiuse, è ovvio che servano più di 12 ore per organizzarsi”.
Non tutte le aziende, purtroppo, si comporterebbero in questo modo.
La mappa dell’ateneo di Baltimora (clicca qui)
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