Le ore che i dipendenti pubblici impegnano frequentando i corsi di formazione voluti dall’ente devono essere considerate a tutti gli effetti come lavorative. Ne consegue che l’eventuale superamento del normale orario giornaliero deve essere equiparato alle prestazioni di lavoro straordinario. È questo un principio di carattere generale che si deve applicare ai contratti collettivi nazionali di lavoro del pubblico impiego, come emerge dalle risposte fornite dall’Aran.
Si ricava dal dettato contrattuale, spiega Il Sole 24 Ore, l’indicazione vincolante che, nel caso di corsi di formazione o di aggiornamento professionale organizzati dall’ente o comunque autorizzati dallo stesso, “le ore effettive di partecipazione alle attività formative devono essere considerate come servizio prestato a tutti gli effetti e, quindi, anche come orario di lavoro, ai fini del completamento del debito orario delle 36 ore settimanali”. Questa indicazione non può essere derogata dalle scelte delle singole amministrazioni. Da questa indicazione discende in modo sostanzialmente obbligato la conseguenza che “per la parte eccedente l’orario d’obbligo giornaliero, devono essere considerate lavoro straordinario”.
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Si ricorda che non può essere considerato come orario di lavoro il periodo che serve per raggiungere la sede del corso o per tornare da questa nel proprio Comune.
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