La nota ministeriale del 26 agosto a firma del Capo Dipartimento Max Bruschi in materia di corsi di recupero rischia di aprire un altro fronte di scontro con le organizzazioni sindacali.
Il perché è presto detto: la nota interviene sulla questione del pagamento dei docenti impegnati nei corsi chiarendo che per tale attività non è possibile prevedere il pagamento di specifici compensi.
Il DL 22/2020 considera i corsi come “attività ordinaria”
Il Ministero, infatti, ricorda che la norma di legge è molto chiara.
Il 2° comma dell’articolo 1 del DL 22/2020 fa rientrare i corsi nella
attività didattica ordinaria collocandoli pertanto – si legge nella circolare – “nell’alveo degli adempimenti contrattuali ordinari correlati alla professione docente e non automaticamente assimilabili ad attività professionali aggiuntive da retribuire con emolumenti di carattere accessorio”.
“Ciò, ovviamente – aggiunge però la nota – vale per il periodo intercorrente tra il 1° settembre 2020 e l’inizio delle lezioni ordinamentali, come previsto dai calendari regionali. Per le attività che invece debbano svolgersi nel prosieguo dell’anno scolastico 2020/2021, lo stesso DL 22/2020, all’articolo 1, comma 9, ha destinato i risparmi, dovuti alla diversa configurazione delle Commissioni degli esami di Stato, per metà all’incremento del Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche e per la restante metà al recupero degli apprendimenti relativi all’anno scolastico 2019/2020 nel corso dell’anno scolastico 2020/2021”.
In quali casi si possono pagare i corsi
“Resta inteso – conclude il Ministero – che, qualora non fosse possibile declinare le attività nella modalità dell’ordinaria attività didattica all’interno dell’orario di cattedra spettante al singolo docente e, comunque, qualora le attività di recupero e integrazione dovessero proseguire dopo l’inizio delle lezioni, dovendo ricorrere alla prestazione di ore aggiuntive da parte del personale interessato, i dirigenti scolastici, sulla base della contrattazione integrativa di istituto, attingeranno per il pagamento di tali prestazioni in eccedenza sia alle eventuali economie del FIS riconosciuto per l’anno scolastico 2019-2020, sia al MOF ordinario 2020-2021”.
Nel concreto, insomma, la questione sta in questi termini: le attività svolte dal 1° settembre fino al giorno antecedente l’avvio delle lezioni non potranno essere retribuite, mentre si potranno prevedere pagamenti per le attività da svolte successivamente, sempre che richiedano un impegno aggiuntivo dei docenti.
Ovviamente i corsi dovranno essere decisi e programmati dal collegio dei docenti mentre spetterà ai dirigenti scolastici adottare le misure organizzative necessarie per renderli operativi.
Neppure con il contratto di istituto si potrà superare il problema
Ma c’è già chi pensa a qualche possibile “scappatoia” e parla della possibilità di retribuire anche le attività di settembre grazie ad uno specifico contratto di istituto da sottoscriversi fra RSU e dirigente scolastico.
L’ipotesi appare però difficilmente percorribile in quanto un contratto di questo genere potrebbe essere considerato illegittimo dai revisori dei conti ed eventuali pagamenti potrebbero persino configurare un danno erariale, con tutte le conseguenze del caso.