L’anno scolastico è terminato ormai, e fra gli studenti c’è chi è andato in vacanza a godersi il meritato riposo, chi invece rimugina per una bocciatura o un debito.
Quando uno studente non raggiunge la sufficienza in una disciplina, il primo ad essere dispiaciuto è il docente, perché in qualche modo pensa di poter essere responsabile.
Ma ci sono moltissimi casi dove davvero la partita sembra persa in partenza e non contano le capacità educative dell’insegnante, le scelte didattiche o il carisma.
In più il docente, specie negli ultimi anni, si trova in mezzo a due fuochi, quello degli studenti che non vogliono o non riescono a colmare le lacune, e quello, forse più fastidioso, dei genitori degli alunni, confusi, spaesati e ansiosi nei confronti dei figli, decisi, minacciosi e duri nei confronti degli insegnanti, i veri colpevoli della bocciatura per loro.
Su Il Corriere della sera si parla di “sfinimento educativo”. Tutti parlano di emergenza educativa, tutti a rincorrere l’ultima novità digitale-didattico-docimologica. A dir la verità, l’educazione è sempre stata problematica.
L’anno, anche questa volta, è finito, e il prof rimane sospeso tra due inusuali parole di scuola, si legge ancora su Corriere della sera, ripescate nel dizionario della lingua italiana Devoto-Oli: didattismo, applicazione esagerata e pedante di teorie e norme didattiche (la scuola insegue tutte le roboanti innovazioni pur di scalare classifiche e fondi finanziari), e un bellissimo insegnucchiare: insegnare poco e male, con impegno e risultati assai scarsi.
La fatica dello studente per recuperare è sicuramente palese, ma lo è altrettanto, forse anche di più, quella dell’insegnante, che si prodiga in quell’innovazione didattica o nell’altra, che spera che i propri sacrifici facciano centro nel cuore e nella mente dei ragazzi.
Quindi, serviranno i corsi di recupero, date queste premesse? Toccherà sempre al docente scoprirlo.
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