Periodicamente si apre la querelle (ma solo per fare polemiche e magari per qualcuno l’occasione per fare sfoggio di conoscenze di sociologismo di maniera) sulla esposizione del crocifisso nelle classi della scuola pubblica.
Ora al di là del fatto che la Religione cattolica sia la Religione di Stato e che l’Italia per antica storia sia legata alla Santa Sede di Roma, la questione del crocifisso nelle aule fu sollevata energicamente già circa 50 anni fa coi moti studenteschi del 1968, quando si diceva, e qualcuno ne faceva pure elemento di principio e di lotta, che non si può imporre a un prof ateo o di altra fede religiosa di insegnare con un crocifisso dietro le spalle. Una limitazione, non solo della libertà personale, ma anche una sorta di negazione della laicità dello stato che riconosce per Costituzione a ciascun cittadino l’espressione del pensiero, e dunque lo si contestava come una sorta di dittatura imposta da chi, lo Stato, invece deve garantire la democrazia.
E dunque, se la scuola pubblica è di tutti e tutti hanno diritto alla istruzione e in questo tutti ci sono cittadini di ogni fede, di ogni razza e di ogni idea, appare corretto che lo Stato, ripetiamo: “laico”, non imponga vincoli ideologici di nessuna sorta a nessuno, né agli alunni né ai docenti, e lasci soprattutto libertà di coscienza a chi la frequenta.
Fermo restando inoltre il principio di autonomia, ogni scuola fra l’altro può decidere cosa fare.
Infine, pensiamo, non si tratta più di non urtare la sensibilità religiosa delle nuove utenze frutto dell’immigrazione, ma più semplicemente di affermare che lo Stato, per sua stessa natura e struttura, finalità e missione, è laico, plurale e democratico.
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