Attualità

Corsi sostegno Indire: c’è chi dice no. Un piccolo “sciopero al contrario” come quello di Danilo Dolci [INTERVISTA]

Nei giorni scorsi, il CIIS (Coordinamento insegnanti di sostegno) aveva lanciato un appello provocatorio rivolto ai docenti precari: “Cari colleghi rifiutatevi di seguire i corsi Indire da 30 CFU, perché non forniscono una preparazione adeguata”.

Sulla sua pagina Evelina Chiocca, presidente del Coordinamento, dà spazio ai docenti che stanno rispondendo positivamente.

Sono piccoli numeri, ovviamente, ma Chiocca è soddisfatte e fa una citazione storica

Non è facile, al termine del primo quarto di secolo di questo millennio, comprendere da cosa erano animati quei lavoratori senza lavoro che, negli anni cinquanta del secolo scorso, diedero vita a quel fenomeno che poi prese il nome di “sciopero a rovescio” per indicare una particolare forma di lotta nella quale le persone prestarono il proprio lavoro gratuitamente, per realizzare opere di pubblica utilità oppure occupando terre incolte o mal coltivate per metterle a coltura.

Parliamo del famoso “sciopero” organizzato da Danilo Dolci?

Esattamente.
Quella strana forma di lotta che, per come impostata, avrebbe potuto non far paura a nessuno, subì invece sanguinose repressione e fece molta paura perché dilagava e conquistava le coscienze delle persone. Uno degli epigoni degli scioperi a rovescio fu Danilo Dolci, che venne arrestato nel 1956 per occupazione di suolo pubblico e resistenza a pubblico ufficiale, mentre guidava un gruppo di braccianti alla ricostruzione di una strada abbandonata nei dintorni di Partinico.

Ma cosa ha a che fare lo sciopero a rovescio di Danilo Dolci con la protesta che lei sta prmuovendo?

I docenti che rifiuteranno lo “sconto formativo”, non vogliono un lavoro qualunque ma “ma un lavoro utile alla collettività da imparare e da svolgere”.

La formazione dei docenti di sostegno è adeguata o va rivista?

Non è adeguata, ma non comprendo perché, ogni qualvolta viene rivista sia proposta, per lo più, al ribasso.
Eppure è chiaro a tutti, o almeno dovrebbe esserlo, che la qualità della scuola passa attraverso la qualità dell’insegnamento e che, per garantire ciò, la formazione deve essere di qualità. Una qualità che questo Ministero pareva aver assunto, nel momento in cui alla voce “istruzione” aveva aggiunto “merito”.
Ma, la realtà, oggi, supera decisamente le buone intenzioni.

Quindi lei non condivide le misure contenute nel decreto che è stato appena approvato dalla Camera

Ovviamente no.
I corsi online di 30 cfu, attivabili da Indire o dalle Università o dalle Università in convenzione con Indire, saranno l’ennesima proposta al ribasso in tema di formazione del personale docente (anche nel passato abbiamo assistito a operazioni di questo tipo).
Siamo tutti consapevoli del fatto che l’attuale corso “ordinario” di 60 cfu, svolto in presenza, offre sicuramente una buona formazione, ma, e sono i corsisti per primi a riconoscerlo, oltre al fatto che dovrebbe essere aperto e reso obbligatorio per tutti i docenti, dovrebbe essere seguito da proposte di aggiornamento, che consentano di arricchire e ampliare le competenze metodologico-didattiche, proprie della professionalità docenti. Si comprenderà, pertanto, che un corso “a metà”, 30 cfu online, non potrà garantire forse neppure la metà di quello di 60 cfu, erogato in presenza.


La riduzione a 30 CFU riguarda però solamente i docenti che hanno già almeno 3 anni di esperienza

Ma bastano tre anni di lavoro, svolto senza titolo, per giustificare una riduzione così drastica dell’offerta formativa? No, non bastano. È il CCNL di lavoro che ce lo ricorda. Il contratto di lavoro, siglato il 18 gennaio 2024, afferma che le competenze, che definiscono il profilo professionale dei docenti, sono acquisite “col maturare dell’esperienza didattica, l’attività di studio e di sistematizzazione della pratica didattica” (art. 42). Non solo prestazione lavorativa, dunque, ma anche formazione.

La vostra protesta sembra però un po’ una battaglia contro i mulini a vento

Io credo che come docenti, consapevoli dell’importanza delle ricadute delle nostre azioni nei confronti degli alunni, non possiamo farci andar bene tutto.
Ecco perché, come Associazione, lanciamo l’appello agli stessi docenti che, per tre anni, hanno lavorato con incarico su posto di sostegno; ecco perché li invitiamo a “dire no” ad una formazione offerta al ribasso, che non consentirà loro di acquisire competenze necessarie per garantire qualità alla scuola dell’inclusione.
La consapevolezza del compito a noi affidato dovrebbe imporci una “sana e vigorosa ribellione”, accompagnata dalla richiesta di avere “una formazione in presenza, il più possibile approfondita”, che non lasci nell’incertezza di ciò che si può o che non si può, di ciò che si deve o non si deve.
Sinceramente non so quanti aderiranno a questo appello.
Forse nessuno. O forse qualcuno.
Anche uno solo, testimonierebbe che si può ancora sperare.

Reginaldo Palermo

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