“Parliamoci chiaramente: 25 ore obbligatorie sono nulla per affrontare di queste situazioni di formazione: sono nulla se c’è la necessità di rientrare nel concetto di rete indispensabile” per la crescita dell’alunno disabile. Perché la “programmazione adeguata alle esigenze dell’alunno disabile deve essere carico di tutto il corpo docente”. A dirlo alla Tecnica della Scuola è Mariella Tarquini, mamma di un bambino con disabilità grave, che come tutti i giovani con difficoltà di apprendimento ha molto sofferto la didattica a distanza e la mancanza di socializzazione derivante dalla pandemia. Il riferimento è al recente decreto con cui il ministero dell’Istruzione ha introdotto un corso di formazione obbligatorio da 25 ore sulla didattica “speciale”, che saranno chiamati a svolgere tutti gli insegnanti, dalla scuola dell’Infanzia alla secondaria, che hanno almeno un alunno disabile all’interno delle loro classi.
Nell’ultimo anno e mezzo, spiega, abbiamo assistito ad “episodi di grandissimo successo nella scuola”, con docenti che si sono prodigati e adattati alla necessità del momento con utilizzo proficuo dei mezzi tecnologici. Però, ha sottolineato, abbiamo assistito anche a situazioni “di grande insuccesso di grande sofferenza e di grande tristezza, perché tutto è demandato all’uomo una persona, a quello che è in grado di dare col suo sentire”.
La donna non vuole accusare nessuno: durante il lockdown e la pandemia “l’insegnante si è trovato spiazzato, perché all’insegnante nessuno aveva dato una formazione: nessuno aveva dato né una formazione, né un background adeguato per affrontare una situazione di questo tipo che ovviamente nessuno poteva immaginare”.
E questo è grave, perché, sottolinea, “la scuola sicuramente per mio figlio, come tutti questi bambini con difficoltà, è l’unico ambito di socializzazione vera”.
“Tantissimi bambini con” problemi di tipo “intellettivo e relazionale non hanno la capacità né di stare davanti a una telecamera, né di fruire di certi mezzi di comunicazione. Quindi, tutto è stato demandato alla famiglia” e non tutte sono state in grado di compensare.
Durante la pandemia, ai giovani disabili è quindi mancato anche il supporto della “rete, che per questi bambini è qualcosa di indispensabile: quando parlo di rete, parlo di scuola, famiglia, equipe di riabilitazione, situazione sociale in cui vive il bambino. Dobbiamo entrare nel suo progetto di vita, attraverso l’interscambio di informazioni”. E’ quella che la donna definisce come “la corresponsabilità educativa del corpo docente”.
E per farlo, occorre che tutti siano presenti: gli insegnanti, curricolari e di sostegno, gli Ata, gli assistenti alla comunicazione e specialistici alla comunicazione. La scuola è una macchina che deve funzionare in armonia fra tutte le figure” e serve “una forma di raccordo fra tutte queste figure”.
Ma cosa significa tutto questo per un docente curricolare non specializzato? “Mio figlio – dice la signora Tarquini – segue la programmazione della classe, ma non è in grado di esprimersi verbalmente. Allora, chiedo, cosa fa mio figlio durante tre-quattro ore di lezioni orali se non ha mezzi e strumenti per poterlo fare, se tutto il team che lo segue se tutti coloro che vivono quella quotidianità a scuola insieme a lui non sono in grado di utilizzare i suoi mezzi?”.
Il riferimento è alle ore di lezione, anche in presenza, durante le quali non c’è in classe il docente sostegno. Ecco perché diventa fondamentale che tutti gli insegnanti prendano possesso delle cognizioni di base nella didattica “speciale”.
L’assenza del docente specializzato, inoltre, è un fatto tutt’altro che remoto: purtroppo per molti alunni disabili, almeno nella parte iniziale dell’anno, può protrarsi a lungo.
“C’è necessità di ripensare in qualche modo il sistema – commenta Mariella Tarquini – perché non possiamo trovarci ancora a novembre senza insegnanti di sostegno in cattedra, come non possiamo trovarci a dicembre ad avere un’assegnazione di cattedra con l’insegnante che subentra che non ha partecipato a tutto quel percorso” di programmazione avviato da tre mesi. Allo stesso modo, continua, “non possiamo trovarci con gli assistenti all’autonomia e alla comunicazione che
sono gli interpreti di bisogni aspirazioni di questi ragazzi che non sono né tutti i formati adeguatamente. È il primo di settembre che dobbiamo avere gli insegnanti di sostegno in classe”.
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