Come qualsiasi altro ente pubblico, anche il Cineca, deve essere controllato dalla Corte dei Conti.
A richiedere una stretta sulle attività (molto discusse negli ultimi anni) del Cineca è la magistratura contabile dello Stato. E chissà se il governo deciderà di accogliere queste raccomandazioni. Lo scrive Il Fatto Quotidiano che fa pure una breve cronistoria di questo consorzio: si tratta del consorzio interuniversitario di Bologna, fondato nel 1969 e diventato negli ultimi anni un colosso, inglobando gli altri consorzi del Paese: circa 700 dipendenti, 115 milioni di euro di fatturato e 300mila euro di utili, stando al bilancio 2013. Di fatto, qualcosa in più di un semplice braccio del ministero dell’Istruzione: una vera e propria società, che infatti per statuto si configura come ente di diritto privato, al suo interno comprende soggetti privati, può svolgere attività “anche con carattere di impresa” e persino “acquisire partecipazioni in società di capitali”.
Un ibrido davvero curioso, su cui sia il Garante della concorrenza che l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici avevano avanzato dubbi.
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A maggio una sentenza del Consiglio di Stato aveva stabilito che, non essendo una società pubblica, il Cineca avrebbe dovuto partecipare alle gare per ricevere finanziamenti dallo Stato. Poco dopo è arrivato il salvacondotto del governo, inserito nel decreto sugli enti locali, che disinnesca tutte le possibili obiezioni ad affidamenti diretti e finanziamenti.
Proprio l’intervento dell’esecutivo è il presupposto logico di quello della Corte dei Conti. Si trova in un capitolo dedicato all’interno della relazione sulla mancata digitalizzazione della scuola italiana, dovuta anche ai problemi che hanno travolto il Cineca. Visto che ormai il consorzio può legittimamente operare “in house”, si legge, è giusto che i finanziamenti ricevuti dal ministero vengano controllati dalla magistratura contabile. Anche perché – sottolineano i tecnici – tale “contribuzione” non è certo di “particolare tenuità”: 40,7 milioni di euro a fondo perduto nel 2014. Non solo: in relazione alla ripresa della collaborazione, l’organo contabile auspica “la definizione di tempi certi” e soprattutto “la fissazione di criteri di remunerazione delle prestazioni”. Perché il senso di un rapporto “in house” dovrebbe esser quello di far risparmiare soldi allo Stato. E non concedere affari facili al consorzio.
Una piccola rivoluzione, scrive Il Fatto, rispetto al modus operandi del Cineca, che non è sottoposto ad alcun controllo sistematico (al contrario di quanto facevano in passato Cilea e Caspur, che nel 2012 si sono fusi nel Cineca, consegnando al consorzio bolognese una posizione monopolistica). Anche così è potuto succedere che il Cineca finisse al centro di diverse controversie negli ultimi anni. Adesso la Corte dei Conti chiede trasparenza.
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