Corte di Strasburgo: niente crocifisso in aula. Il Governo fa ricorso
Esporre il crocifisso in classe costituisce “una violazione del diritto dei genitori a educare i figli secondo le loro convinzioni”, oltre che una violazione alla “libertà di religione degli alunni” poiché lo Stato deve educare “alla neutralità confessionale”. A stabilirlo è stata la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo che il 3 novembre ha accolto il ricorso di una cittadina italiana, Soile Lautsi, originaria della Finlandia e residente ad Abano Terme, che nel 2002 aveva protestato per la presenza del crocifisso nelle classi dei suoi due figli, poiché la considerava contraria al principio di laicità dello Stato.
Secondo la Corte europea “la presenza del crocifisso, che è impossibile non notare nelle aule scolastiche, può essere facilmente interpretata dagli studenti di tutte le età come un simbolo religioso”. In questo modo gli alunni “sentiranno di essere educati in un ambiente scolastico segnato da una determinata religione. Questo potrebbe essere incoraggiante per degli alunni religiosi, ma potrebbe anche perturbare gli alunni di altre religioni o atei, in particolare se appartengono a delle minoranze religiose“.
La signora Lautsi aveva iniziato la sua azione legale con un ricorso al Tar del Veneto, il 23 luglio 2002, basandosi su una sentenza del 2000 della Corte di cassazione, che aveva giudicato la presenza del crocifisso negli uffici di voto contraria al principio di laicità dello Stato. Il Tar del Veneto, da parte sua, nel 2005 aveva giudicato il crocifisso simbolo della storia e della cultura italiana, e di conseguenza dell’identità italiana, spingendosi a definirlo anche simbolo dei princìpi di uguaglianza, libertà e tolleranza, nonché della laicità dello Stato. Anche il Consiglio di Stato, l’anno dopo, aveva argomentato che la croce è diventata uno dei valori laici della Costituzione italiana, e rappresenta i valori della vita civile. Ed in questo senso si era espressa, più tardi, una circolare del ministero dell’Istruzione.
Ora però è arrivato il verdetto, peraltro unanime, della Corte di Strasburgo, composta di sette giudici. “Dopo sette anni ci hanno dato ragione – ha commentato Massimo Albertin, marito di Soile Lautsi – ed ora mi auguro che lo Stato italiano tenga adeguatamente conto di quello che dice l’Europa, che l’Italia non voglia fare la figura di essere un paese fuori dall’Europa. I miei figli oggi sono all’università e hanno dimenticato le critiche ricevute all’epoca“. Contro la sentenza delle Corte europea si è subito schierato il ministro dell’Istruzione: dopo aver dichiarato che “la presenza del crocifisso in classe non significa adesione al cattolicesimo, ma è un simbolo della nostra tradizione“, Mariastella Gelmini ha annunciato che “il Governo ha presentato ricorso“.
Cosa accadrà ora? Diciamo subito che è molto difficile che la sentenza abbia effetti pratici. Qualora la Corte accolga il ricorso, il caso verrà esaminato nella “Grande Chambre”, composta di 17 membri, l’organo della Corte che decide su questo genere di controversie. La richiesta d’appello, tuttavia, viene prima esaminato da un collegio di cinque giudici, che può respingerla se considera che il caso non sollevi questioni gravi relative all’interpretazione o all’applicazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo o dei suoi protocolli. Se il ricorso non dovesse essere accolto, la sentenza tra 90 giorni diverrà definitiva. Ma per conoscere gli effetti pratici che avrà sul Governo italiano, qualora non voglia incorrere in ulteriori violazioni, bisognerà attendere sei mesi, quando si esprimerà il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa.
Enorme la soddisfazione dell`Unione degli atei e degli agnostici razionalisti che ha promosso e curato tecnicamente l`iter giuridico del ricorso: “È un grande giorno per la laicità italiana – ha detto il segretario nazionale Raffaele Carcano – siamo dovuti ricorrere all`Europa per avere ragione, ma finalmente la laicità dello Stato italiano, affermata da tutti a parole, trova conferma in un provvedimento epocale. Perché la scuola è laica, cioè di tutti, credenti e non credenti“. Contrariato invece il Vaticano: per la Cei la sentenza dimostra il “sopravvento di una visione parziale e ideologica” che “ignora o trascura il molteplice significato del crocifisso, considerato non solo simbolo religioso ma anche segno culturale“. Mentre monsignor Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio consiglio della pastorale per i migranti si limita a dire che è meglio “non parlare della questione del crocefisso perché sono cose che mi danno molto fastidio”. Duro anche il giudizio del Centro-Destra. E anche dalla sinistra arrivano giudizi poco favorevoli: “un’antica tradizione come il crocifisso – ha dichiarato Pier Luigi Bersani, neo segretario del Pd – non può essere offensiva per nessuno. Penso che su questioni delicate come questa qualche volta il buonsenso finisce di essere vittima del diritto“.
I sindacati della scuola si ritrovano ancora una volta spaccati: d’accordo con la Corte di Strasburgo è la Flc Cgil, mentre Cisl scuola e Snals scuola criticano la sentenza; posizione neutra da Uil scuola e Gilda. Positivo invece il parere degli studenti: se per Stefano Vitale, dell’esecutivo nazionale dell’Unione degli studenti, la posizione dei giudici della Corte europea è “un passo avanti” e va accolta “con favore” perché rispettosa di “una scuola plurale, democratica, laica e interculturale, che non ostacoli la libertà di scelta religiosa e la sensibilità degli studenti“, la Rete degli studenti attraverso il suo leader, Luca De Zolt, ribadisce che il crocefisso va tolto delle aule perchè non è “un simbolo propriamente ‘laico’ e giustamente la Corte europea lo a ribadito“.