L’Istituto Maria Montessori di Roma aveva ragione: lo Stato ha diritto riscuotere l’Ici non versata dal 2006 al 2011 da parte degli enti non commerciali, in particolare dalla Chiesa. A stabilirlo è stata la Corte di Giustizia dell’Unione europea, che ha accolto il ricorso dell’istituto capitolino e annullato la decisione della Commissione del 2012 e la sentenza del Tribunale Ue del 2016 che avevano sancito “l’impossibilità di recupero” dell’imposta da parte dello Stato italiano. Rimangono, invece, legittime le esenzioni dall’Imu.
L’affare non è da poco, perché si parla di un esborso complessivo per la sola Chiesa 4 o 5 miliardi di euro. Ma che ripercussioni avrà questa sentenza sulla scuola? Nel mirino vi sarebbero anche le scuole paritarie, che già vivono una forte crisi di finanziamenti.
Ne abbiamo parlato con suor Anna Monia Alfieri, esperta di politiche scolastiche e coautrice dei saggi sui modelli alternativi di finanziamento delle scuole italiane.
Quali affetti avrà il parere della Corte di giustizia dell’Unione europea?
L’analisi giuridica della sentenza CGUE, Grande Sezione del 6 novembre scorso, cause riunite da C-622/16P a C-624/16P in materia di aiuti di Stato per le scuole paritarie, offre un quadro totalmente diverso da quello che l’ideologia ha strumentalizzato per scopi puramente pretestuosi.
E’ evidente che sul piano pratico, la portata della sentenza impegna in modo responsabile il Governo Italiano affinchè inizi a difendersi seriamente e a non rimanere sostanzialmente inerte. Infatti, considerato che il regime Imu post 2012 è stato ritenuto conforme al diritto europeo, la valutazione delle possibili alternative di recupero rispetto all’utilizzo dei dati catastali e fiscali si tradurrà essenzialmente nella verifica se nelle vicende antecedenti al 2012 le scuole paritarie abbiano o meno sostanzialmente rispettato i requisiti che la normativa avrebbe successivamente positivizzato.
Sono coinvolte anche le scuole paritarie?
Per rispondere, dobbiamo contestualizzare la richiesta mossa dalla scuola Montessori che ha lamentato, in particolare, che l’esenzione Ici concessa agli enti non commerciali (nel caso di specie agli istituti scolastici) li ha posti in una situazione di svantaggio concorrenziale.
Ribadisco che la sentenza della Corte del 6 novembre scorso nulla cambia dal punto di vista sostanziale, bensì ripresenta l’anomalia che era già emersa in sede di regolamentazione Imu e che è opportuno riproporre negli esatti estremi giuridici per evitare inutili e faziose letture ideologiche che in realtà non fanno del bene alla Res-Publica. E, peggio, ci confermano incapaci di centrare il cuore della quaestio.
Quale sarebbe l’aspetto cardine della questione?
Già rispetto al regolamento 200/2012 emergeva tutta l’anomalia italiana, l’unico Paese in Europa che ancora non garantisce la libertà di scelta educativa e prende a picconate il pluralismo educativo. Il regolamento 200/12 stabilisce che le scuole pubbliche statali non sono tenute al pagamento dell’IMU; le scuole pubbliche paritarie se non erogate a titolo gratuito o con un prezzo simbolico devono versare l’IMU. Il Consiglio di Stato fa riferimento ai principi europei, senza riuscire ad esplicitarli sino in fondo. All’art. 4 comma 3, a,b,c, si individuano le caratteristiche (conditio sine qua non) affinché le scuole paritarie non paghino l’IMU. Devono essere: scuole paritarie; non devono essere discriminatorie nell’accettazione degli alunni; hanno l’obbligo di accogliere gli alunni portatori di handicap; devono applicare la contrattazione collettiva al personale docente e non docente; devono garantire l’adeguatezza delle strutture agli standard previsti; devono dare pubblicità del loro bilancio.
Da notare che sono i requisiti della legge 62/00 sulla parità. È chiaro il paradosso che allontana il Consiglio di Stato dai principi europei accennando l’ultimo requisito senza contestualizzarlo: “le attività didattiche devono essere svolte a titolo gratuito ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto conto dell’assenza di relazione con lo stesso”.
Ma stavolta ad esprimersi sono stati i giudici della curia europea…
È bizzarro che l’Europa sostenga che lo Stato debba spendere ancora di più per le proprie scuole, quando già utilizza i soldi di tutti in modo almeno discutibile? Come definire, infatti, il modo di spendere dell’attuale scuola di Stato? Oggi uno studente costa a tutti i cittadini circa dieci mila euro l’anno. Non è forse una cifra da capogiro visti i risultati prodotti dall’attuale scuola statale? Non occorre investire di più o sperperare di meno il denaro di tutti? Non sono forse percorribili strade diverse per permettere a tutti di poter scegliere la scuola secondo il diritto costituzionale che afferma “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”? Quale libertà, di fatto, esiste, oltre il monopolio dell’intervento dello Stato?
Però nel Parlamento di Bruxelles si siedono anche diversi cittadini italiani. O no?
Mi sono sempre domandata come sia possibile che al Parlamento Europeo i nostri rappresentanti non sollevino: a) la questione che i genitori dopo aver pagato le tasse non possono esercitare il proprio diritto alla libertà di scelta educativa; b) che in Italia ci sono cittadini docenti discriminati che a parità di titolo hanno retribuzioni differenti; c) peggio, che questa ideologia che prende a picconate il pluralismo educativo (mortificando e facendo sparire un patrimonio culturale che ha contribuito alla ricostruzione della Nazione) rappresenta un costo ingiusto pagato dai cittadini.
L’Italia, tuttavia, trova conferma della correttezza dell’esenzione IMU alle scuole?
Sì, perché in diritto la logica ha ancora un peso e dunque l’Italia si è trovata a dover gestire nell’anomalo Sistema Nazionale di Istruzione italiano il parametro europeo, il “requisito” alla lett. c), comma 3, dell’art. 4 del Regolamento che stabilisce che lo svolgimento dell’attività deve essere effettuato “a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con lo stesso”.
Simbolico rispetto a cosa?
In tal senso, a norma dell’art. 1, comma 1, della legge 10 marzo 2000, n. 62, il sistema nazionale di istruzione è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali. Quanto effettivamente costi il servizio alle scuole pubbliche – statali e paritarie – è una bella domanda. Di conseguenza il Decreto IMU per gli enti non commerciali schiera un parametro inedito, quello del costo medio per studente. Si legge sul sito del Ministero “Se il corrispettivo medio (CM) è inferiore o uguale al costo medio per studente (CMS) la scuola paritaria è esente dall’IMU”.
L’Italia schiera un parametro tutto nuovo che apre spiragli di luce e chiarisce quali sono le scuole paritarie di cui si trattava. Ho guardato e guardo con fiducia a questo barlume di intelligenza che apre al costo standard di sostenibilità più volte trattato e a cui rimando.
Il parere dell’Ue rimette allora in discussione il modello di finanziamento delle scuole in Italia?
È l’Europa che ha chiesto ripetutamente agli Stati membri una effettiva parità tra istituti scolastici. Ricordiamo la Risoluzione del Parlamento europeo del 1984 “sulla libertà di insegnamento” con la quale si chiede un’effettiva pluralità di istituzioni scolastiche senza che ciò implichi alcuna discriminazione nei confronti degli organizzatori, dei genitori, degli alunni e del personale. Come ignorare la successiva risoluzione del Parlamento europeo del 4 ottobre 2012 che ritorna e riafferma quanto sopra riportato. E si potrebbe citare ancora, sempre in questa pressante prospettiva di tutela e attuazione di un diritto inviolabile, l’articolo 26 della Dichiarazione universale dei diritti umani (1948), l’articolo 14 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (2000).
Ma come si comportano gli altri Paesi?
Non è fuori luogo ricordare che siamo il solo Paese, assieme alla Grecia, a negare di fatto, contro tutta la legislazione sopra indicata, il diritto alla non discriminazione nella scelta effettiva della scuola da frequentare. Siamo fuori dall’Europa e calpestiamo un diritto sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti umani. Fa sensazione l’assordante silenzio dei politici, dei sindacati, degli “uomini di cultura”, dei difensori dell’Europa. Perché? A chi giova questo silenzio? Chi ha il coraggio di muoversi con qualche presa di posizione concreta? Per la TAV la gente è scesa in piazza… Qui la posta in gioco è di molto superiore: è il tracollo della scuola italiana tutta.
Secondo lei, il Miur ne terrà conto?
Lo Stato non può reggere finanziamenti aggiuntivi per la scuola. Proprio per questo motivo la soluzione, per evitare il tracollo della scuola pubblica, sia statale che paritaria, è il costo standard di sostenibilità per allievo, che è cosa diversa dal costo medio ricavato empiricamente dalla serie storica delle spese sostenute, derivanti anche da una gestione poco efficiente.
È già presente un tavolo di lavoro sui costi standard; da più parti al MIUR è giunta la richiesta di riprendere i lavori, che sono a spese dei partecipanti, invitati dal MIUR stesso. E’ evidente che, se la scuola paritaria soffre di una mancata libertà, la scuola statale è gravata da una autonomia non riconosciuta. Ci stiamo perdendo tutti. In base ai dati Miur, sono 304 le scuole paritarie chiuse nell’ultimo anno e 24.713 gli alunni in meno rispetto allo scorso anno. Parliamo di 12.662 Istituti, 879.158 allievi e 25.000 insegnati e se si somma anche il personale non docente si giunge a 80.000 persone. Guardo in modo positivo a quest’ultima sentenza che pone l’Italia nuovamente di fronte alle proprie responsabilità.
Quindi, alla fine, il parere della Corte di Giustizia europea sull’Ici potrebbe rivelarsi una ciambella di salvataggio per le scuole paritarie?
Il nostro Paese è a un bivio cruciale e si ritorna sempre a monte: occorre rivedere le linee di finanziamento del sistema scolastico che o è pluralista o è dispotico. Ricordiamoci sempre che Il monopolio statale dell’istruzione è negazione di libertà: unicamente l’esistenza della scuola libera garantisce alle famiglie delle reali alternative sia sul piano dell’indirizzo culturale e dei valori che sul piano della qualità e del contenuto dell’insegnamento.
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