Che cosa dovremmo tutti chiedere al governo, per rendere efficace e significativa la vita della scuola?
Di garantire i fondamentali: strutture adeguate, risorse sufficienti, norme non ballerine, personale qualificato, avere chiara la stella polare, cioè linee di indirizzo flessibili capaci di cogliere le nuove domande formative.
Ma i governi passano, eppure i problemi restano.
Basta fermarsi, tanto per capirsi, alla giostra dei supplenti di questi giorni e alla impossibilità di gestire i casi limite.
Il vero governo del cambiamento, ad esempio, avrebbe dovuto, sapendo che l’anno scolastico inizia il primo settembre, programmare per tempo la disponibilità del personale.
Mentre, anche in questi giorni siamo costretti ad un certo via vai di supplenti nelle classi.
Demotivante per i ragazzi, non entusiasmante per i docenti coinvolti. Eppure, non ci vorrebbe molto.
Ma non basta assegnare ai nuovi docenti le classi. Perché questi si inseriscono in un tessuto, in uno stile educativo, in un quadro formativo frutto di anni di riflessioni, di decisioni, di progettualità.
Questi docenti, ma la cosa vale per tutti, sono nominati in relazione non ad un contratto, ma ad uno specifico contesto formativo.
Il burocratese non umilia lo sforzo di qualificarsi di una scuola? A che pro rivedere il Ptof triennale, se poi le persone chiamate ad incarnarlo non ne sono state coinvolte, non si sentono coinvolte?
E non dimentichiamo, e questo vale per tutti (preside, docenti, personale), un test psico-attitudinale, per capire se una persona è adeguata ad un ruolo relazionale-educativo, oltre che culturale, con i bambini ed i ragazzi di oggi.
Basterebbe poco, come si vede, per dare una svolta qualitativa alla vita della scuola. Ma chi governa sa queste cose? E se le sa, perché non le fa?
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