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Cosa ho fatto del mio bonus merito

Quest’anno ho ricevuto il bonus premiale previsto dalla legge 107 per i docenti cosiddetti “meritevoli”. Ritengo che la decisione politica di introdurre questa forma di riconoscimento economico dei docenti sia profondamente sbagliata, per varie ragioni.

Prima di tutto ha l’effetto di introdurre un motivo di divisione e di competizione in una comunità docente che esprimeva i suoi massimi risultati proprio dove si dispiegavano al meglio gli elementi di cooperazione e di messa in comune delle qualità di ognuno; l’effetto del bonus quindi è di minare le ragioni della cooperazione e di sollecitare una perniciosa concorrenzialità didattica tra colleghi che insegnano agli stessi alunni e alunne.

In secondo luogo questa scelta è stata fatta dopo anni di blocco contrattuale e di impoverimento del potere d’acquisto dei docenti, e quindi viene proposta come un sostituto miserevole e riservato a pochi di una dignitosa retribuzione che spetterebbe a tutte e a tutti e che i governi degli ultimi dieci anni non sono riusciti ad assicurare nella scuola italiana.

Infine, non è di minore importanza l’assenza totale di trasparenza nell’attribuzione, almeno se il dirigente sceglie di rispettare le circolari del Ministero della pubblica istruzione, che sostengono non si possano rivelare i nomi dei docenti e le cifre che percepiscono. Nella mia scuola ad esempio, rispetto alle attribuzioni del bonus operate dalla dirigenza di due anni fa, io e una collega abbiamo dovuto fare ben due richieste di accesso agli atti e attendere una decina di mesi affinché, in modalità di autotutela, l’Amministrazione cancellasse due assegnazioni, illegittime sulla base degli stessi criteri stabiliti dalla legge, illegittimità che avevamo potuto intuire solo dalle voci di corridoio.

Per le ragioni sopraesposte non voglio tenere i soldi di questo bonus. All’inizio dell’Ottocento – come si legge nella bella storia dell’insegnamento elementare in Liguria di Bacigalupi e Fossati – Vittorio Emanuele I decise di stanziare somme per il pagamento di due maestri per ciascuna scuola di carità sostenuta dallo stato a Genova; i maestri religiosi operanti in queste strutture erano però ben più di due. Costoro decisero allora di non creare due categorie di maestri, quelli remunerati e quelli che non lo erano, e così “si convenne fra loro [i maestri] amichevolmente di dividersi in massa la parte d’assegnazione attribuita al pagamento”. Poiché le dimensioni organizzative della scuola italiana non permettono di organizzare una “divisione in massa” delle somme come erano riusciti a fare i maestri genovesi, ho deciso di devolvere questa cifra a due organizzazioni no-profit che ritengo svolgano un importante intervento nella società.

Gianluca Gabrielli

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