Sulla vicenda professionale, umana e giudiziaria di Julian Assange, che rischia 175 anni di carcere per avere documentato crimini di guerra e gravi violazioni dei diritti umani, si sta finalmente mobilitando parte dell’opinione pubblica e diversi personaggi del mondo della cultura e dello spettacolo.
Gli avvocati difensori di Julian Assange hanno depositato all’Alta Corte di Londra l’istanza di ultimo appello contro il decreto di estradizione negli Usa. In una pagina pubblicata nel luglio scorso sul sito della Federazione nazionale stampa italiana (Fnsi) viene rimarcato che Organismi dell’Onu, associazioni per la tutela della libertà d’informazione (come ad esempio “Reporter senza frontiere”) e organizzazioni umanitarie come Amnesty International, che ha espresso gravi preoccupazioni anche per il serio deterioramento della salute di Julian Assange e ha precisato tra l’altro che “pubblicare informazioni che sono di interesse pubblico è una pietra angolare della libertà di stampa e del diritto dell’opinione pubblica a conoscere le malefatte dei governi” ed è “un’attività protetta dal diritto internazionale” (il portavoce della sezione italiana di Amnesty International, Riccardo Noury, peraltro, ha evidenziato che “dal punto di vista della violazione dei diritti umani non è una storia controversa, ma cristallina: non c’è un processo equo e non ci sono accuse fondate”), denunciano l’inchiesta di Washington contro il cofondatore di WikiLeaks alla stregua di una persecuzione politica e di una minaccia al giornalismo d’inchiesta; mentre chiedono da tempo invano al Regno Unito di rilasciarlo e fermare l’iter dell’estradizione.
Su questo specifico argomento è intervenuta, in una nota di qualche mese fa, la commissaria per i Diritti umani del Consiglio d’Europa (principale organizzazione di difesa dei diritti umani in Europa, da non confondere con l’Ue) affermando che “le conseguenze della possibile estradizione di Assange sui diritti umani vanno ben oltre la sua persona perché le accuse che gli sono rivolte sollevano importanti questioni sulla protezione di coloro che pubblicano informazioni riservate nell’interesse dell’opinione pubblica“ (come riportato anche da SWI swissinfo.ch – succursale della Società svizzera di radiotelevisione SRG SSR). E già quasi tre anni fa, il 28 gennaio 2020, “l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, all’interno della risoluzione 2317 (2020) Minacce alla libertà dei media e alla sicurezza dei giornalisti in Europa, ha approvato all’unanimità un emendamento con cui indica agli Stati membri di considerare la detenzione e i procedimenti penali contro Julian Assange quale un precedente pericoloso per i giornalisti”.
Stefania Maurizi, giornalista investigativa che si è sempre molto impegnata nel sostenere il cofondatore di WikiLeaks, pochi giorni fa ha pubblicato una serie di interviste su “Ilfattoquotidiano.it”, tra cui quella con l’ex magistrato Armando Spataro che tra l’altro ha affermato: “Assange ha consentito al mondo di conoscere quello che di tragico è stato commesso in Afghanistan e in Iraq, e il mondo ha il diritto di conoscere queste cose. Non esiste una democrazia in cui ci possa essere un abuso del segreto di stato che procuri l’impunità (…) addirittura agli autori di crimini contro l’umanità. Bisogna mobilitarsi e trovo incomprensibile il silenzio che su questa vicenda molti grandi quotidiani e molta parte dell’informazione hanno lasciato calare. E non è la prima volta”.
Sulla vicenda del giornalista d’inchiesta, l’attrice Laura Morante si pone delle domande semplici e legittime affrontando peraltro il discorso in modo articolato e assolutamente condivisibile: “Fin da quando ho letto, qualche anno fa, le notizie su di lui, sulla sua detenzione e su tutta la sua vicenda, mi continuavo a chiedere: come mai i giornali non mettono questa notizia in prima pagina, ogni giorno, come un martellamento, è una cosa talmente scandalosa. Noi viviamo, in questo momento, in un Paese dove non si distingue più l’informazione dalla propaganda, noi non sappiamo più. Ormai quando leggo il giornale, cerco di leggere tra le righe, perché non capisco più cosa davvero sta succedendo nel mondo, ho sempre l’impressione di venir manipolata”.
L’attrice ha anche aggiunto: “siamo un Paese sommerso dalla propaganda. È diventata una cosa scandalosa! Non si riesce più nemmeno ad avere più punti di vista, non dico un punto di vista critico, dico vari punti di vista. Forse anche per questo mi sta tanto a cuore il caso Assange e WikiLeaks. Mi sento garantita finché loro possono continuare a lavorare senza rischiare 175 anni di carcere”. Per leggere l’intervista completa cliccare su questo link, che consente di anche di accedere alle altre interviste pubblicate il 20 ottobre da Stefania Maurizi, tra cui quelle Stella Moris, moglie di Julian Assange, a Daniel Ellsberg, l’analista militare statunitense che svelò i Pentagon Papers (1967) ai tempi della guerra in Vietnam, e a Roger Waters, musicista e compositore cofondatore dei Pink Floyd (poi iniziò una carriera da solista, anche se in qualche concerto si esibì ancora insieme ad altri ex componenti del gruppo), che fin dal 2010 ha integrato alcune delle rivelazioni di WikiLeaks nel suo tour musicale “The Wall”.
Ed è molto importante che si mobiliti anche il mondo dello spettacolo e della cultura: caso emblematico è quello di Ken Loach, regista inglese di molti film di grande spessore (per citarne solo qualcuno ricordiamo “Terra e libertà”, “La canzone di Carla”, “Bread and Roses”, ed il più recente “Sorry we missed your” nel quale ritorna sul tema dei diritti negati e dello sfruttamento nel mondo del lavoro, della denuncia sociale contro profitto e multinazionali, sullo sfondo di storie personali e familiari) che da anni sostiene la causa di Assange e che recentemente, parlando anche di “quieta connivenza dei media in questa ingiustizia”, ha evidenziato che “WikiLeaks ha fatto emergere gli sporchi segreti del conflitto in Iraq e molto altro ancora”.
Loach, che ha anche scritto la prefazione al libro “Il potere segreto” (riguardante la vicenda di Julian Assange) della già citata Stefania Maurizi, ha aggiunto: “grazie ad Assange e alla sua organizzazione abbiamo conosciuto l’orrore di crimini di guerra come quelli documentati nel video ‘Collateral Murder’”.
A proposito del video citato da Ken Loach, si può leggere in un precedente articolo riportato su questa testata quanto proposto diversi mesi fa dalla trasmissione “Presa diretta” del collega Riccardo Iacona, nella quale tra l’altro veniva documentato anche il suddetto video che mostra militari americani che a Baghdad sparano da un elicottero uccidendo obiettivi civili inermi, tra cui un fotoreporter e un altro collaboratore della Reuters, e poi colpiscono anche i soccorritori.
Finalmente una posizione ufficiale e ampia del mondo della cultura e – solo in parte – del giornalismo dopo tante voci isolate. Ricordiamo comunque che già nel dicembre dello scorso anno il segretario generale di ‘Reporter Without Borders’ (Reporter senza frontiere), Christophe Deloire, ha dichiarato: “crediamo fermamente che Julian Assange sia stato preso di mira per i suoi contributi al giornalismo e difendiamo questo caso a causa delle sue pericolose implicazioni per il futuro del giornalismo e della libertà di stampa nel mondo”.
Adesso diverse organizzazioni e singole persone hanno anche aderito alla campagna internazionale ‘La mia voce per Assange’ promossa da un comitato che ha accolto l’appello lanciato dall’argentino Adolfo Pérez Esquivel, Premio Nobel per la pace (ricevuto nel 1980 per le denunce contro il “golpe”, le violenze e gli abusi della criminale e sanguinaria dittatura militare argentina negli anni Settanta). Un’iniziativa presentata anche nella sede della Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi), il 20 ottobre scorso, per affermare – come recita lo slogan – che “la trasparenza è condizione irrinunciabile della democrazia“.
E nel mese di ottobre ci sono state importanti manifestazioni per la libertà del giornalista d’inchiesta australiano, alle quali hanno partecipato molte le persone in diversi Paesi. Manifestazioni come ad esempio quella di fronte al Parlamento londinese e poi la ‘mobilitazione internazionale’ del 15 ottobre scorso.
Intanto Assange – sul cui stato di salute precario hanno già in passato espresso preoccupazioni Amnesty International, che continua a chiedere la liberazione e procede con una raccolta di firme, e il ‘Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura’, lo svizzero Nils Melzer (ha lasciato tale incarico a fine marzo scorso, assumendo successivamente una carica di direttore presso il Comitato internazionale della Croce Rossa) che ha sostenuto che “la sua prolungata reclusione in una prigione di massima sicurezza non è né necessaria né proporzionata e manca di qualsiasi base giuridica” e come il giornalista australiano sia stato inoltre “sistematicamente calunniato per distogliere l’attenzione dai crimini che aveva esposto”, danneggiandone l’immagine personale (lo abbiamo già scritto nel precedente articolo, ma è un passaggio molto importante e va sottolineato) – “marcisce” ingiustamente in carcere, complessivamente privato della libertà (all’inizio della vicenda agli arresti domiciliari e prima dell’attuale detenzione in un carcere di massima sicurezza britannico era costretto rimanere “esiliato” nell’ambasciata ecuadoriana che lo aveva accolto a Londra per evitargli appunto la carcerazione) da circa una dozzina di anni, solo per avere… svelato (va anche ripetuto che Assange ha ricevuto, e non “trafugati”, documenti e informazioni che ha poi reso noti) crimini di guerra e gravissime violazioni dei diritti umani (in un periodo in cui se ne parla tanto e non può essere fatto a senso unico)!
Peraltro proprio giorni fa è stato assegnato il ‘premio Sacharov’ e nella lista dei tre candidati a riceverlo c’era pure Assange (proposto da alcuni parlamentari europei), anche se poi il Parlamento europeo ha scelto di premiare il popolo ucraino (“rappresentato dal suo presidente”), che, con tutto il rispetto, con il premio Sacharov che riguarderebbe la libertà di espressione c’entra poco, ma anche questo è il segno dei tempi che viviamo. Certamente era una buona occasione per mettere in primo piano la vicenda della persecuzione del giornalista d’inchiesta e la censura alla libertà di informazione quando da qualcuno che evidentemente ha molto potere viene ritenuta “scomoda”.
Come già evidenziato in quella che si può considerare la prima parte di questo articolo (pubblicata la scorsa settimana), sinora la stampa (anche italiana, e per il giornalista, già inviato di guerra, Alberto Negri, “la nostra stampa dovrebbe vergognarsi, perché la complicità e il silenzio uccidono il giornalismo“) non ha largamente brillato (tranne eccezioni) per fare conoscere il reale contesto delle vicende giudiziarie del giornalista investigativo australiano, anche a protezione di coloro che pubblicano informazioni, seppure ritenute “riservate” (ma qui si parla di crimini di guerra e violazione dei diritti umani), nell’interesse dell’opinione pubblica e a tutela futura del giornalismo d’inchiesta. Una nuova occasione di impegno viene offerta dall’iniziativa presentata, come detto, nella sede della Fnsi il 20 ottobre scorso e tra le testate più conosciute che si sono impegnate a seguire tale campagna internazionale risultano Avvenire (il cui direttore, Marco Tarquinio, sottolinea “la delusione crescente che arriva dalle democrazie anglosassoni”, per “i segnali ambigui e preoccupanti che stanno mandando“), il Fatto Quotidiano e il Manifesto (ma non ad esempio le tre testate nazionali maggiormente diffuse).
Come leggiamo in un articolo riportato su “Avvenire.it” chiedere la liberazione del giornalista Julian Assange, “assurdamente detenuto per aver avuto il coraggio di denunciare crimini di guerra e gravissime violazioni dei diritti umani”, commessi durante le guerre in Afghanistan e in Iraq, corrisponde a una richiesta forte “di libertà e indipendenza per l’informazione”, obiettivo della già citata iniziativa internazionale ‘La mia voce per Assange’, alla quale proprio recentemente ha manifestato formalmente il proprio interesse e appoggio anche un sindacato, il Sisa – Sindacato indipendente scuola e ambiente.
Peraltro, a proposito di scuola, nel precedente articolo avevamo lanciato la proposta di inserire nell’ambito dei percorsi di Educazione civica o attraverso specifici progetti, negli istituti scolastici di istruzione secondaria di II grado, il tema della libertà di stampa, dell’informazione realmente indipendente (anche in alternativa alla “omologazione” di quella “mainstream”) e quello della censura all’informazione (alcune scuole hanno nel recente passato trattato l’argomento, anche con riferimento alla “vicenda Assange”).
Segnalando che meritoriamente La Tecnica della Scuola propone alcune dirette rivolte alle classi che aderiscono (gratuitamente) all’iniziativa che riguarda una serie di eventi formativi on line legati all’Educazione civica e alla Costituzione, vorremmo suggerire agli studenti partecipanti (e ai loro insegnanti) in vista della diretta in cui si tratterà il tema della Giornata mondiale della libertà di stampa, ma anche della prossima diretta del 9 novembre che concerne in modo più articolato la Giornata della libertà, con focus sugli articoli della Costituzione da 13 a 28, quindi anche l’art. 21 della Costituzione che attiene appunto alla libertà di opinione e alla libertà di stampa (in questo secondo caso comunque con regole stabilite in modo dettagliato dalla legge sulla stampa, e ovviamente tali regole non si riferiscono, anzi non hanno nulla a che vedere con il caso del cofondatore di WikiLeaks), di porre ai relatori dell’incontro (giorno 9 novembre ci saranno anche due noti giornalisti, di cui uno è stato in passato direttore dei quotidiani La Stampa e poi la Repubblica) anche una domanda sulla libertà di informazione legata al caso di Assange e chiedere se intendono dare sostegno, individualmente ma anche come rappresentati dei loro giornali, alla campagna ‘La mia voce per Assange’ promossa dalla Federazione nazionale della stampa.
Se l’Alta corte britannica non concederà il ricorso in appello presentato dai legali di Assange, si potrà adire un ricorso presso la Corte Europea dei Diritti Umani, a cui aderiscono gli Stati membri del Consiglio d’Europa. Potrebbe aprirsi uno spiraglio per evitare l’estradizione del giornalista che rischia 175 anni di carcere (!) e magari per legittimare la richiesta di una sua liberazione, ma è fondamentale che la mobilitazione internazionale prosegua con un impegno costante, anche attraverso iniziative come ‘La mia voce per Assange’ (peraltro, Stefania Maurizi aveva già sottolineato da tempo che per la “salvezza” di Assange era necessaria “la mobilitazione dell’opinione pubblica”), come abbiamo già scritto nel precedente articolo, quando abbiamo anche aggiunto: l’Occidente, in una fase storica in cui giustamente si sottolineano situazioni di pesanti censure alla libertà di stampa e di informazione, non può tollerare o peggio nascondere le manovre per cancellare crimini di guerra e diritti fondamentali laddove ciò è perpetrato da “questa parte” del mondo.
A meno che “l’atlantismo”, che quasi tutti sbandierano (tranne chi preferisce un mondo multipolare e non unipolare), …non preveda che la privazione di diritti fondamentali nei riguardi di chi usa un pensiero critico (o semplicemente informa facendo – come nel caso di Julian Assange – il suo mestiere) e la censura su crimini di guerra se ciò avviene nella “sfera anglosassone” sia accettabile!
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