È appena trascorsa la Giornata della disabilità ed in Italia è stato indubbiamente un pullulare incessante e senza sosta di iniziative e manifestazioni dalle Alpi alle pendici dell’Etna.
Ma, spenti i riflettori della festa, chi scrive ha la forte preoccupazione che la disabilità, da priorità dell’agenda politica e sociale del nostro Paese, torni invece ad occupare il solito e desolante ruolo marginale e settoriale. E tutto ciò con buona pace del mainstraming tanto decantato dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, di cui tra qualche giorno celebreremo l’11° anniversario.
In proposito, lo scrivente, rammenta ai nostri lettori che la Commissione ONU incaricata di esaminare il report italiano sull’applicazione della predetta Convenzione delle Nazioni Unite sui disabili da parte del nostro Governo, il 25 agosto del 2016 ci ha raccomandato che: “«Tuttavia è necessario ancora fare un cambio di paradigma, in modo che le persone con disabilità siano considerate come persone uguali nella società e non un peso o qualcuno che drena risorse del welfare state».
Il problema è che, nonostante la nostra nazione si vanti di avere una legislazione “inclusiva” avanzatissima, accade che quella stessa normativa (tanto all’avanguardia da esserci invidiata e copiata in Europa e nel mondo), troppe volte, purtroppo, rimane inapplicata od “ingessata” ed imbrigliata dai vincoli di bilancio.
Manca cioè nel ”sistema” Italia una visione strategica ed organica sulla disabilità, che spesso si concretizza nell’incapacità cronica di leggere in modo strutturale i bisogni dei disabili, di programmare in loro favore a medio e lungo termine.
Di fronte alla manifesta necessità di garantire quotidianamente ed in maniera permanente diritti fondamentali quali quelli delle pari opportunità, della piena partecipazione, della progettazione ed accessibilità universale e dell’inclusione, spesso, i nostri interlocutori istituzionali rispondono con interventi solo “emergenziali” ed episodici. L’unica cosa che sanno fare molto bene, al contrario, è trincerarsi dietro l’ormai troppo tristemente nota logica dell’”austerity” imposta dalla crisi economica e della “spending review” “comanda taci” dall’Europa.
È come se i costi venissero prima dei diritti. Ma una nazione che antepone il contenimento della spesa ai diritti fondamentali dell’uomo è una nazione “malata”, che si dimentica colpevolmente della recente sentenza “spartiacque” della Consulta n. 275/16 che ha stabilito in modo inequivocabile che “sono i diritti incomprimibili della persona ad incidere sull’equilibrio di bilancio e non quest’ultimo a condizionare la loro doverosa erogazione”.
E proprio a causa di tali gravi e ricorrenti criticità dello Stato italiano, chi scrive si permette di affermare che quella “sbagliata” non è la persona con disabilità, ma è la nostra società che deve essere “riabilitata” e rieducata, perchè disabili non si nasce, ma lo si diventa ogniqualvolta si viene esclusi, emarginati, discriminati nell’esercizio dei propri inalienabili diritti.
Pertanto, in vista dell’ormai imminente 11° anniversario della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità e delle prossime decisive tornate elettorali (nazionale e regionali) che interesseranno il nostro Paese, l’auspicio è che la classe dirigente che verrà si riappropri del primato della politica rispetto all’economia, rimettendo al centro della scena i disabili con i loro diritti fondamentali, in quanto un Paese civile è soltanto quello che riesce a rendere i cittadini più deboli “protagonisti” della collettività.
Solo così facendo, riusciremo, anche in Italia, a far realizzare a tutte le persone con disabilità un progetto di vita realmente indipendente, a riconoscere effettivamente i loro sacrosanti diritti all’autodeterminazione ed alla cittadinanza attiva ma, soprattutto, ad assicurare a tutti ed a ciascuno, ora e sempre, la dignità di ESSERE UMANO a 360°, indipendentemente dalle “giornate” dedicate e dalla loro abilità.
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