Diceva Cesare Pavese ne Il mestiere di vivere che “tutto il problema della vita è dunque questo: come rompere la propria solitudine, come comunicare con altri”. Seguendo Pavese, propongo una riflessione sullo sguardo umano come docenti che hanno l’incombente e arduo compito di preparare al futuro i nostri figli, perché “è una vecchia abitudine dell’umanità passare accanto ai morti e non vederli”, come apostrofa Saramago in Cecità, ma la verità purtroppo è che “siamo ciechi che, pur vedendo, non vedono“.
Avremo la possibilità di fare un bilancio di questi due anni di paura, segregazione e lotta interna oppure ci lascerà indifferenti pensando che tutto sarà esattamente come prima? Questa comunicazione, dunque, non verterà tanto sul covid, l’epidemia, il green pass su cui si è già detto molto, e forse in malo modo (anche io l’ho fatto proprio su questa testata), ma sulle conseguenze sociali e morali che tutto ciò avrà su di noi da qui in avanti. Riflessione che riguarda in particolare su quello che possiamo capire delle reazioni degli uomini allo stato dell’epidemia e della tecnica politico-sanitaria condotta che si è scelto di attuare.
Un ‘Noi’ che interpreto come intelligenza collettiva, espressione delle società umane che vogliono (e sperano?) ancora di stare insieme. Una certa stanchezza prevale riguardo il rumoroso, martellante e stantio balbettio di opinioni, tutte legittime, che però credo ostacolino il vero problema ai nostri occhi che non è solo quello riguardante la libertà o meno del vaccino, sulla libertà o meno che il green pass ha fortemente limitato, sul come vi abbiamo passivamente aderito. Problemi veri certo che pesano. No, non è su tutto ciò che il nostro sguardo è escluso ma sul fatto di non parlare delle conseguenze sociali e interiori che irrimediabilmente saremo costretti a vivere sulla nostra pelle, su questo io collettivo che ci unisce e divide per via di tutto questo.
Quello che vedo è un dialogo tra sordi e ciechi che non vedono. In me ha causato questo malessere senza poter dare ad esso una ragione, un volto. Non vedo l’umano dietro a esso. Dirò solo poche cose al riguardo. Il nemico invisibile non è solo il covid e la pandemia che imperversano da due anni, ma riguarda tutto quello che ha circondato la pandemia costruendo un retroterra insidioso e paludoso attraverso una comunicazione per molti versi deleteria. Più insidioso del male che dovremmo curare perché ha saputo dividere le persone in fazioni contrapposte su schemi identitari, e l’antropologia e le scienze sociali hanno spiegato bene la pericolosità di questo schema quando viene attivato sul piano politico e sociale. Dovremmo, forse, non tanto inorridire privatamente, ma anche urlare ad alta voce che tutto ciò che stiamo vivendo, al di là delle nostre opinioni, non vada affatto bene, che questo malessere resterà dentro di noi creando divisioni e ferite che già si vedono nelle nostre parole, nei nostri gesti quotidiani, nel modo in cui comunichiamo tra noi. Nello stesso momento in cui scegliamo di stare dentro una o l’altra identità pensando semplicemente alle nostre ragioni.
Come in Cecità di Saramago, la cecità improvvisa ci ha colpiti cancellando ogni pietà proiettandoci nella barbarie, scatenando un brutale istinto di sopravvivenza in grado di patologizzare i nostri modi di vita e la stessa convivenza sociale. Non so se un giorno realizzeremo fino in fondo quanto male è stato causato nella società italiana, e non solo nella nostra ma da noi di più per una lunga e consolidata tradizione di contradaioli, non tanto dal Covid – malattia insidiosa e strisciante, certo, ma che un giorno sconfiggeremo come si è fatto con tutte le altre perché ce lo insegna la storia delle epidemie: uomo e virus convivono storicamente in una lunga lotta che la scienza ha ridotto col tempo – ma da tutta la gestione politico-sanitaria del Covid stesso e da come noi vi abbiamo aderito. Capiremo mai dove siamo finiti e il buio della ragione che ci ha presi? In quale tunnel siamo rintanati? Come ci siamo piegati supinamente al male diventando tristi aguzzini di noi stessi per riprendere un pensiero di Walter Benjamin? Non mi sembra a dire il vero.
Non so quanto abbiamo capito di tutto questo fango umano, del fascismo profondo che c’è in tutta questa lurida faccenda, quanta facile frustrazione decisa a tramutarsi in odio e prevaricazione soddisfatta di sé sia stata portata in superficie da tutta questa vicenda orribile e che noi abbiamo reso orribile a noi stessi. Non so bene come definirla. Bisognerebbe ricordare tutto al momento opportuno, a cose finite, quando forse torneremo alla quotidianità e guarderemo le cose con altri occhi. Forse. Ma non sarà più la stessa libertà temo. E noi non saremo uomini migliori anche quando arriverà il nostro turno e “la paura ci farà abbassare immediatamente gli occhi” perché “città sarà ancora lì”.
Io faccio mente locale di non dimenticarlo.
Ferdinando Sabatino
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