Fatica, astenia, febbre, mialgie: sono questi alcuni dei sintomi del Long Covid, così definito in quanto gli effetti del virus persistono nel tempo. Lo stabilisce il report dell’Istituto superiore di sanità (ISS). A distanza di oltre un anno dall’inizio della pandemia da SARS-CoV-2, infatti, un numero importante di persone colpite da COVID-19 presenta manifestazioni cliniche che non si esauriscono nelle prime settimane della fase acuta sintomatica, ma che possono prolungarsi precludendo un pieno ritorno al precedente stato di salute.
In breve, spiega l’ISS: questa condizione di persistenza di sintomi, che può riguardare soggetti di qualunque età e con varia severità della fase acuta di malattia, è stata riconosciuta come una entità clinica specifica, denominata appunto Long-COVID.
In altre parole, l’Istituto Superiore di Sanità ha ufficializzato, con report dell’1 luglio 2021, che il Covid in molti casi può determinare una ripresa delle attività lavorative o scolastiche particolarmente dura. Insomma, questi due anni di pandemia, che hanno reso molto difficile la didattica in classe e quella a distanza, spiegano da sé, anche dal punto di vista sanitario (per coloro che avessero contratto il virus), l’immane fatica nel percorso che porta verso la ripresa dell’ordinarietà.
Un interrogativo che nasce è: dal momento che l’ISS definisce il Long Covid una entità clinica specifica, potrebbe essere considerata una malattia, in certi casi particolarmente acuti?
Dunque, ad ogni modo, cosa comporta nelle classi il fenomeno del Long Covid? Che alcuni docenti che avessero contratto il virus in forma sintomatica, potrebbero risentire per lunghi periodi degli effetti del Covid, anche dopo che la visita medica avesse autorizzato il loro rientro in classe. Considerazioni che, guardando indietro, ai due anni scolastici appena trascorsi, ci fanno comprendere meglio le difficoltà del lavoro degli insegnanti e la stanchezza di fine anno; ma che, guardando avanti, ci fanno essere fiduciosi, dati i molti vaccinati che inizieranno l’anno scolastico, a settembre 2021, con una importante copertura vaccinale.
La grande variabilità di sintomi e segni clinici, nonché delle tempistiche degli effetti, non permette di fare un quadro preciso della situazione. I sintomi persistenti possono essere transitori o intermittenti oppure possono essere costanti. In generale, più grave è stata la malattia acuta, maggiore rischia di essere l’entità dei sintomi nel tempo.
In linea generale, l’ISS indica tra i principali sintomi persistenti (per più di 4 settimane dall’infezione acuta): fatica e astenia, stanchezza eccessiva, febbre, debolezza muscolare, dolori diffusi, mialgie, artralgie, peggioramento dello stato di salute percepito, anoressia, riduzione dell’appetito, sarcopenia. Ma anche: problemi polmonari come dispnea, affanno e tosse persistente; o disturbi cardiovascolari, neurologici, gastrointestinali, psichiatrici.
Intanto la variante Delta incide ogni giorno di più sui contagi del Paese, accompagnata, ultimamente dalla variante Kappa.
“Sebbene in assoluto i nuovi casi siano in diminuzione – scrive l’Iss – la proporzione di casi di infezione da virus Sars-Cov-2 causati da varianti Delta e Kappa è in aumento in Italia. La maggior parte di questi casi è attribuibile a focolai circoscritti riportati in varie parti del Paese”.
Inoltre, avverte: “Poiché la variante Delta sta portando ad un aumento dei casi anche in Paesi con alta copertura vaccinale, è opportuno realizzare un capillare tracciamento e sequenziamento dei casi”.
Ad ogni modo “è necessario raggiungere una elevata copertura vaccinale ed il completamento dei cicli di vaccinazione per prevenire ulteriori recrudescenze di episodi di aumentata circolazione del virus sostenute da varianti emergenti con maggior trasmissibilità”.
“Francamente non credo che si possa pensare al rischio di una nuova ondata pandemica con la portata e le caratteristiche di quella dello scorso anno. I vaccinati contro il Covid ci sono, sono stati numerosi. Siamo indietro rispetto agli inglesi, ma ne abbiamo fatti ormai molti anche noi. Tuttavia abbiamo la preoccupazione per gli over 60 che non si sono vaccinati”. A dirlo è Massimo Galli, responsabile di Malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano ospite della trasmissione Agorà Estate.
Tra questi sessantenni non vaccinati (e non solo sessantenni) anche una buona fetta del personale della scuola, come abbiamo più volte ricordato. Ma la quota potrebbe snellirsi se la preoccupazione relativa alla variante Delta, considerata insidiosa, dovesse fare pendere l’ago della bilancia (degli indecisi) verso il vaccino.
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