Il modo di fare scuola a cui siamo ancora oggi abituati è fondato su una pedagogia (tradizionale), che tuttavia non è l’unica possibile, trattandosi di un modello storicamente determinato, derivato dai collegi dei gesuiti e dalle scuole lasalliane e trasferito nelle scuole nazionali europee nel corso dell’Ottocento.
Un modello pedagogico del fare scuola, quindi, non l’unico modello possibile. Secondo Enrico Bottero, un importante pedagogista italiano che si ispira alla pedagogia Freinet, questo modello ha anche diversi limiti, legati soprattutto, come lui afferma, “alla sua natura di scuola gerarchica e di classe, non capace di perseguire l’apprendimento di tutti”. Un modello che “lascia fuori tanti ragazzi, senza tenere realmente conto dei livelli di apprendimento degli allievi, dei loro desideri e della loro vita.”
La pedagogia di Freinet presenta un sistema diverso, più capace, sostiene Bottero, di costruire una società solidale e cooperativa e di coinvolgere attivamente gli alunni nel percorso formativo, dando loro ben più responsabilità e opportunità di sviluppare autonomie e apprendimenti. Un modo ben diverso di rispondere alla sempre impegnativa sfida educativa.
Philippe Meirieu, uno dei più grandi pedagogisti europei, ci ricorda del resto che il fare scuola è una situazione di per sé ricca di contraddizioni e di tensioni. Contraddizioni che non vanno intese come fallimenti da parte di chi insegna, bensì come il cuore stesso dell’insegnare.
Per esempio, abbiamo da una parte il principio di educabilità universale, secondo cui tutti possono e devono essere educati ma, nello stesso tempo, gli alunni possono opporre un sostanziale rifiuto rispetto a questo tentativo di violare il loro libero arbitrio e di farli essere ciò che non sono o non sono ancora, cioè il rifiuto di dover essere educati, soprattutto da estranei e in un sistema formale come la scuola. Allo stesso modo, c’è una evidente tensione fra i saperi che si vorrebbero trasmettere agli allievi e gli interessi effettivi di questi ultimi. E così via.
Tali tensioni non sono inciampi occasionali che il bravo docente sa ricomporre con le sue tecniche o con la sua capacità comunicativo-relazionale e di leadership più o meno suadente. Esse, potremmo dire, vanno “abitate” con intelligenza e “arte” pedagogica, non minimizzate, eluse o esorcizzate alla meglio.
In un certo senso, i sistemi pedagogici (come quello tradizionale, quello freinetiano o altri) non sono altro che direttrici (fatte di finalità, conoscenze e pratiche) per rispondere a quelle costitutive contraddizioni. La pedagogia di Freinet, ad esempio, propone un approccio cooperativo come risposta a queste tensioni strutturali, secondo il principio di base per cui si apprende meglio con gli altri piuttosto che da soli. Ancora più a monte, essa vede la cooperazione non solo come un metodo di apprendimento-insegnamento, ma soprattutto come un modo per imparare a vivere con e per gli altri in una società.
Per una ben più articolata e approfondita discussione su questi temi, invitiamo i lettori a seguire il video dell’intervista con il Prof. Bottero e a leggere il testo che ha da poco dato alle stampe, “Pedagogia cooperativa. Le pratiche Freinet per la scuola di oggi”.
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