Le recenti circa la libera circolazione di persone e beni dovute alle frizioni geopolitiche mettono in discussione il mantenimento dei costi bassi per l’espletamento di attività considerate strategiche e di supporto comune, come scuola e sanità. I costi relative alle stesse sono in continuo aumento per via dei livelli di inflazione e calo del potere d’acquisto sempre più gravi che mettono a rischio la stabilità sociale e l’espletamento continuo dei servizi alla comunità. I materiali, le attività extrascolastiche e i viaggi d’istruzione sono oramai divenuti costosissimi e riservati a pochi fortunati provocando un grave disallineamento in seno alla scuola pubblica. Il bullismo e la relativa gestione è in costante aumento; in Italia ed in Europa risulta inoltre evidente il continuo invecchiamento della popolazione e il calo delle nascite influisce negativamente sul supporto economico e fiscale alle attività e servizi strategici. Ciò provoca l’innalzamento dei costi in relazione al taglio cronico – e patologico – dei fondi destinati all’istruzione e all’assenza di adeguamento strutturale degli stessi alle reali esigenze ed innalzamento del PIL. Vi sono realtà da noi molto distanti, come l’Oceania, dove accadono fatti alla pari del Vecchio Continente: scuole sempre più care, dispersione elevata e malcontento generale delle famiglie, specie quelle più vulnerabili.
Secondo due nuovi studi, condotti a livello Ministeriale australiano, i genitori delle famiglie meno agiate iniziano a contrarre debiti sempre maggiori per mandare i figli a scuola, sia pubblica che privata. Queste stime ammontano a più di 195.000 dollari per le scuole cattoliche e a più di 315.000 dollari per le scuole indipendenti. Secondo i nuovi dati del Futurity Investment Group, mandare un bambino alla scuola pubblica dalla scuola elementare fino al 12° anno in una grande città costa alle famiglie più di 92.000 dollari. Nel frattempo, un sondaggio separato della famiglia Smith ha rivelato che i genitori frequentano la scuola pubblica i bambini sono particolarmente stressati quando si tratta di provvedere alle cose di cui i loro figli hanno bisogno per l’istruzione. L’organizzazione benefica ha intervistato più di 2.200 famiglie che hanno utilizzato i suoi servizi e ha scoperto che quasi la metà era preoccupata che i propri figli non potessero permettersi uniformi e scarpe per la scuola quest’anno. Uno su tre ha affermato che i propri figli perderebbero le escursioni, viaggi d’istruzioni e gite scolastiche, circa la metà ha affermato di non potersi permettere dispositivi digitali e uno su sei ha affermato che i propri figli non avrebbero accesso a Internet per la didattica a distanza – quando applicata – e per esercitazioni mirate.
L’istruzione in Italia ha costi sempre più elevati, che sia questa condotta da istituti pubblici o privati; a farne menzione sono gli studi condotti dal Ministero dell’Istruzione e del Merito ed organizzazioni indipendenti, le quali confermano un aumento netto dei costi per figlio di oltre il +3,7 %. Ciò è dovuto ai prezzi in salita dei materiali di cancelleria, dei trasporti da / verso l’istituto, dei libri testo le cui edizioni pressoché identiche si rincorrono durante i vari anni di studio, delle “donazioni volontarie” agli istituti, dei dispositivi elettronici e rispettiva manutenzione per lo svolgimento di esercitazioni e ricerche, dei viaggi d’istruzione. A pesare sul bilancio degli italiani nel 2023 è anche, infatti, il “caro istruzione”: in un solo anno il costo di educare un figlio in Italia, dal nido all’università, è passato da una media di 130.000 euro a 135.000 euro, con un aumento del + 3,7 %. Come afferma l’Istat, che osserva con attenzione ed evidente preoccupazione il calo complessivo delle nascite e l’invecchiamento rispettivo della popolazione, del Nel 2021, in Italia, la spesa pubblica per istruzione rappresenta il 4,1% del Pil, a fronte di una media Ue del 4,9%. L’Agenzia di Coesione Territoriale conferma che In termini di spesa pro-capite a favore dell’istruzione interna, nel 2020 si è registrato un valore di 790,9 euro per abitante in termini di versamento fiscale, inferiore alla media dell’intero ventennio 2000 – 2020.
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