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Costruzione della verità e non merito e valutazione: Pantaleo (Flc-Cgil) cita Gramsci

Per Antonio Gramsci, scrive il segretario della Flc-Cgil, Domenico Pantaleo su L’Huffington Post, la civiltà della scuola pubblica si misura non secondo gradazioni di merito, ma secondo la costruzione della verità, e in quest’ultima non si può fare differenza tra licei e istituti tecnici o professionali.

Il termine “merito” ha assunto oggi un valore sociale positivo soprattutto per effetto delle distorsioni nel sistema di reclutamento del personale pubblico e  perciò viene assunto come una sorta di panacea che risolverebbe alla radice l’enorme questione della corruzione e della corruttibilità, oppure delle forme di nepotismo più o meno presenti in enti e istituzioni pubbliche, oppure, infine, dell’abituale tendenza a promuovere più secondo legami e relazioni piuttosto che secondo il valore dell’individuo. Ma chi, come, che cosa si valuta e per quale fine? Sono domande che restano inevase perché in realtà il governo pensa ad un sistema nel quale le persone e le scuole devono competere e solo i migliori devono essere premiati.

Manca dunque l’obiettivo, scrive Pantaleo,  di un miglioramento qualitativo dell’intero sistema di istruzione. Si rimette in discussione la scuola come organo costituzionale che deve garantire a tutti il successo formativo e contribuire a superare le disuguaglianze sociali. La logica della legge 107 e del governo appare radicalmente diversa: solo i migliori devono andare avanti. Gli altri, meglio che vengano inseriti il più rapidamente possibile nel mercato del lavoro. Il pilastro ideologico della 107 è esattamente l’assunzione acritica di quel modello.

 

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Se Gramsci ha ragione, ed ha ragione, sul senso e sulla funzione sociale della scuola come “scoperta autonoma della verità” per tutti gli allievi, emerge un valore di civiltà che investe la classe docente, ovvero quella di educare alla verità della scoperta del mondo, in modo equo e democratico, senza discriminazioni. Il valore di civiltà e la funzione culturale non si possono misurare con un banale voto o con i test Invalsi.

Anzi, addirittura la legge 107 della ministra Giannini fa dipendere da questa “misurazione” impossibile, da questa incredibile valutazione, un “premio in denaro”, gestito quasi interamente dal dirigente scolastico al di fuori di ogni necessaria partecipazione e consenso.

Con l’effetto deleterio di smarrire il senso e la funzione sociale dell’insegnamento, ma anche di limitarne profondamente la libertà. Così, anche la contrattazione collettiva diventa un intralcio e non una opportunità per coniugare qualità del lavoro e miglioramento dell’offerta formativa. “Ti pago una mancia in più perché sei bravo, secondo il senso che io dirigente attribuisco all’aggettivo”. Inoltre, tra le conseguenze di questa legge e delle funzioni assegnate al comitato di valutazione vi sarà una maggiore competizione tra docenti, snaturando il valore collegiale e collettivo dell’insegnamento e dell’organizzazione dei progetti educativi. Chi ha scritto quella norma, o non sa di cosa parla, perché mai ha messo piede in una scuola, oppure vuole ideologicamente proprio questo, trasformare la scuola da luogo di civiltà a luogo della competizione sociale tra pari.

Inoltre, il personale Ata viene completamente ignorato dalla legge quasi fosse invisibile e invece è fondamentale per garantire il funzionamento delle scuole e il piano dell’offerta formativa. La mancia da valutazione, ne siamo certi, non stimola, non motiva, non induce un docente a “fare meglio”, ma procede con spirito competitivo a forme di sottrazione, secondo la logica “quel che faccio io, non devi e non puoi farlo tu, che sei mio collega”. Il rischio è che ogni Collegio dei docenti si trasformi in una sorta di felliniana “Prova d’orchestra”, un tutti contro tutti, a danno degli studenti e dell’equilibrio stesso dell’istituto scolastico. E si sbaglia a pensare che la “corsa al merito” possa diventare col tempo una sorta di “corsa verso le grazie del dirigente”? No, non è così che si premia il prezioso lavoro dei docenti e del personale Ata. E non è così che si premiano neppure le fatiche organizzative dei dirigenti scolastici. Occorre ben altro.

Occorre tornare a una considerazione che divenga senso comune, a partire da chi svolge mansioni e responsabilità pubbliche e di governo, per cui la funzione e il senso della scuola è di fare in modo che ogni alunno o studente “raggiunga da se stesso la conoscenza” garantendo a tutti l’accesso all’istruzione e il successo formativo. Proprio come scriveva Gramsci.

Pasquale Almirante

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