Sulle scelte da prendere sulla scuola nel difficile periodo contrassegnato dal Covid (solo nell’ultimo giorno quasi 40 mila nuovi contagi e 425 decessi), il governo si conferma diviso. Con dei parlamentari del Partito Democratico che tornano puntare il dito sulla ministra dell’Istruzione. Una circostanza ricorrente che non a caso ha portato la senatrice Bianca Laura Granato a dire qualche settimana alla Tecnica della Scuola che nel Pd “probabilmente vogliono far fuori il nostro ministro per metterne uno loro. Probabilmente questo è il loro velato intento”.
Gli attriti tra democratici e Lucia Azzolina sono riemersi nella notte tra venerdì 6 e sabato 7 novembre, in Consiglio dei ministri: appena dopo l’approvazione del decreto Ristori bis, con il quale il governo ha fornito ulteriore aiuti anche a chi nelle zone rosse vive un secondo lockdown, i ministri sono tornati a parlare delle scuole e della DaD.
La ministra Lucia Azzolina è tornata, scrive l’Ansa, “a sollevare il problema della chiusura degli istituti decisa da Michele Emiliano (costretto dal Tar alla riapertura) e Vincenzo De Luca. Ma, raccontano diverse fonti, ne” è nato “un confronto assai teso con i ministri Dem: il Pd ha difeso la scelta di tenere aperte elementari e medie anche nelle zone arancioni – è il succo del discorso dei dem – ma la scuola non può essere un totem ideologico, rispetto alla priorità assoluta che è la salute”.
A difendere la titolare del dicastero di viale Trastevere, oltre ai ‘grillini’, sono state “le ministre di Iv Teresa Bellanova e Elena Bonetti”, per le quali “la scuola deve restare aperta”. Del resto, dicono alla pari di Azzolina, si tratta di luoghi sicuri.
I dem, però, non demordono: “è chiaro, chiosa un ministro Pd, che nelle prossime settimane se la curva dei contagi non frenerà, il tema di una nuova stretta potrebbe tornare a porsi”.
Dalla parte di Azzolina, pur non dicendolo apertamente, ancora una volta si è posto il premier Giuseppe Conte.
“Il treno” dei contagi, ha detto il presidente del Consiglio in un’intervista al Corriere della Sera, corre “sempre più veloce” e il governo ha provato a fermarlo con “riduttori di velocità” ma ha bisogno della collaborazione delle regioni.
Il clima, assicurano Boccia e il presidente delle Regioni Stefano Bonaccini dopo un nuovo tavolo sul decreto ristori, è di “proficua collaborazione”.
Il titolare del Mef Roberto Gualtieri parla di pieno sostegno economico ai governatori attraverso i ristori. Ma il governo non ammette battaglie regionali contro l’operato del CdM: da adesso in poi gli atti di chi va contro il dpcm saranno impugnati.
I dissapori però vi sono: le regioni, del resto, sono 21 e alcune non sono evidentemente allineate.
Il leader della Lega, Matteo Salvini, ha accusato il premier di voler penalizzare le giunte di centrodestra, alla base delle ordinanze di Speranza ci sono dati oggettivi e automatismi, non scelte politiche.
Per questo motivo Giuseppe Conte nel decreto ristori bis ha voluto inserire una norma per la pubblicazione settimanale sul sito del ministero della Salute dei dati regionali del monitoraggio e degli atti del Cts e della cabina di regia (con dentro tre rappresentanti delle regioni) chiamati a valutarli. Basterà?
Un’altra novità, inoltre, è che a creare problemi al governo non sono le regioni di matrice leghista del Nord, ma anche Campania e Puglia, con quest’ultima costretta far tornare in classe gli alunni di primaria e medie solo perché costretti dal Tar di Bari.
Eppure si tratta di territori che, almeno teoricamente, dovrebbero essere più vicino al Conte bis.
Ecco, allora, tornare in modo prepotente il tema della riforma del titolo V della Costituzione, per introdurre una clausola di supremazia che consenta al governo, almeno in presenza di emergenze nazionali, di “scavalcare” le Regioni: una necessità che si potrebbe affrontare a breve, visto che il premier e il leader di maggioranza si dicono tutti d’accordo.
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