I contagi da Covid-19 continuano crescere e a fare registrare record: nelle ultime 24 ore sono stati accertati quasi 25 mila nuovi contagi, a fronte di quasi 200 mila tamponi. Con i casi di positività crescono anche le ansie di chi teme la sospensione delle attività didattiche in presenza: dopo le superiori, il rischio è che una disposizione analoga possa scattare anche per i gradi scolastici inferiori.
Ad essere preoccupati per una decisione di questo tipo è l‘Associazione culturale pediatri: in occasione del congresso Acp, svolto il 28 ottobre, è stato detto che una eventuale chiusura delle attività scolastiche anche alla primaria metterebbe ancora più a rischio la salute fisica e mentale dei più piccoli e delle loro famiglie.
Dopo avere presentato diversi studi sugli effetti della pandemia nell’infanzia, i pediatri hanno tenuto a dire, inoltre, che comunque fino a 10 anni le possibilità di contagio sono limitatissime.
Secondo i pediatri, il lockdown e la chiusura delle scuole e attività hanno infatti causato un aumento delle violenze domestiche e dei maltrattamenti subiti dai bambini.
Uno studio condotto dal Great Ormond Hospital di Londra tra il 23 marzo e 23 aprile scorso ha documentato 10 casi di trauma cranico da abuso (che comprende anche la sindrome da scuotimento) in bambini con un’età media di 6-7 mesi, contro gli 0,67 casi rilevati nello stesso periodo dei 3 anni precedenti. Durante la pandemia da Covid-19 sono aumentate le segnalazioni dei casi di violenza domestica dal 30% in Francia al 40-50 per centoin Brasile, mentre in Cina sono triplicati.
“Durante il lockdown – ha detto all’Ansa Costantino Panza, pediatra di famiglia e membro dell’Acp – noi pediatri non abbiamo potuto vedere i bambini e quindi documentare eventuali casi di abusi e violenze, così come i servizi scolastici e dell’infanzia”.
Con la riapertura invece, “abbiamo ricevuto un aumento di richieste d’aiuto dai genitori per disturbi comportamentali, d’ansia e alimentari. Abbiamo riscontrato infatti una crescita incredibile dei bambini con eccesso di peso”.
I dati raccolti finora mostrano che laddove le scuole sono state riaperte, sottolinea, “i bambini contagiati sono stati pochissimi, e la trasmissione è avvenuta a casa dagli adulti. Fino ai 10 anni i focolai nelle classi sono rarissimi, è più frequente che si ammali il personale scolastico e porti il virus a scuola”.
Anche uno studio condotto in Emilia Romagna fra il 6 giugno e il 30 agosto scorso sui bambini nei centri estivi, ha mostrato che nessuno dei 637 tamponi richiesti dai pediatri di famiglia per i bambini con sintomi da Covid, nessuno è poi risultato positivo.
Secondo gli psichiatri il malessere da lockdown non riguarda però solo i più piccoli: soprattutto gli adulti sono ormai meno disposti a rinunciare a tutto ciò che gli è stato negato nella prima ondata dell’emergenza Covid-19. Ciò perché i numeri giornalieri dei contagi fanno loro vivere una sorta di ‘sindrome di accerchiamento’: più i numeri crescono, più aumentano anche le restrizioni del Governo tramite nuovi Dpcm.
“Ci sentiamo contenuti nella nostra libertà – ha detto il presidente della Sip, Enrico Zanalda – dai numeri della pandemia, dal terrore che gli ospedali si saturino, e decidano di non accettare nuovi casi. Rispetto all’altra volta, si è cercato di tenere aperte la maggior parte attività di lavoro, cliniche, la scuola: si cerca di non interromperle, di mantenere le attività produttive, ma è probabilmente ancora più difficile che rispetto alla prima ondata”.
“Ci si aspettava – continua Enrico Zanalda – una recrudescenza in autunno, per molti quindi è diventato inaccettabile aver fermato alcune attività per l’incapacità di adeguare le strutture alla seconda ondata. Si è meno disposti a tollerare incompetenze e incapacità gestionale. Poi c’è un elemento di incertezza ulteriore: non si sa quanto durerà questo periodo di stop. Fosse per una settimana, si sarebbe forse disposti ad accettarlo”.
“La prima esperienza del lockdown dal punto di vista della coesione sociale è stata positiva, è stata tollerata, ma si pensava conclusa – aggiunge -. La cosiddetta seconda ondata era attesa, e a molti fa rabbia che non sia stato apparentemente fatto nulla per impedire il lockdown”.
Sotto osservazione sarebbe bene tenere “i più colpiti dalle restrizioni, ma meno dalla malattia, per il quali è difficile dover rinunciare a vivere certe esperienze di socialità, ad esempio”. Ma anche “le persone che non hanno lavoro fisso, fino ai 40 anni. Sono più disponibili, se non hanno un minimo di tutela, a un’esasperazione pericolosa”.
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