I contagi da Covid-19 continuano ad essere alti: nelle ultime ventiquattr’ore sono stati sfiorati i 30 mila positivi, con 208 decessi. Il calo di numeri rispetto al giorno prima non deve fare abbassare la guardia. Nel corso della domenica si sono infatti susseguiti i vertici, in vista dell’emanazione del nuovo Dpcm previsto per la serata di lunedì 2 novembre. Cosa ci dobbiamo aspettare? Di sicuro, almeno per ora, si continua ad escludere il lockdown generalizzato, come quello attuato la scorsa primavera. La “stretta” sulle restrizioni però è inevitabile.
Su tutto il territorio nazionale potrebbe scattare la chiusura di negozi e attività commerciali dalle ore 18, con obbligo di rimanere nella propria dimora, tranne chi deve uscire per lavoro, salute o emergenze, da comprovare con apposita autocertificazione. Il Dpcm dovrebbe basarsi su questa linea.
Poi, si potrebbero attuare i cosiddetti mini-lockdown: si ragiona, infatti, sulle chiusure quasi totali solo nelle nuove zone “rosse”, con la dad che nelle aree territoriali dove c’è maggiore concentrazione di contagi (anche grandi centri, come Milano, Torino, Genova e Napoli) potrebbe essere attuata pure nel primo ciclo e nella secondaria di primo grado.
A farlo intendere è stato anche il ministro degli Affari regionali Francesco Boccia durante vertice con gli Enti locali: “Non si deve prendere una decisione univoca sulla scuola ma deve dipendere dal grado di Rt (l’indice dei contagi, ndr) in ogni regione”.
Il ministro ha aggiunto: “Il documento dell’Istituto superiore di sanità (Iss) e il sistema di monitoraggio che abbiamo condiviso con scienziati e Regioni ha una serie di ipotesi che devono scattare automaticamente. Se un Rt supera un certo livello – oggi ci sono 11 Regioni oltre 1,5 e 2 regioni oltre 2 – allora alcune misure già previste dal piano che abbiamo condiviso e aggiornato insieme devono scattare in automatico”.
Anche i sindaci la pensano così: secondo loro, le chiusure siano pianificate in maniera chiara sulla base del rischio, così come era previsto nel documento del Comitato tecnico scientifico condiviso da Governo e Regioni.
Quel documento individuava i diversi livelli dell’indice Rt in cui dovevano scattare le diverse restrizioni: dalla didattica a distanza a scuola alla riduzione degli orari delle attività economiche.
In questo modo – avrebbe spiegato il presidente dell’Anci Antonio Decaro – i cittadini sono coinvolti in un percorso trasparente e rispettano le restrizioni: indice Rt sale, scattano le limitazioni, indice Rt scende, si allentano.
Le regioni, però, non sarebbero d’accordo: il presidente della Conferenza delle Regioni, Stefano Bonaccini, è detto che c’è però anche necessità di “misure nazionali per dare segno di unità dei livelli istituzionali”.
Anche il presidente della Campania, Vincenzo De Luca, ha avallato la linea di Bonaccini: “La logica dei singoli territori – avrebbe detto De Luca durante l’incontro con i ministri – non ha senso perché l’epidemia è diffusa. Serve muoversi in maniera unitaria; differenziazioni territoriali porterebbero a reazione diverse, in Campania non sarebbero capite e sono improponibili perché i livelli di controllo non esistono”.
De Luca ricorda che “il 60% dei positivi in Campania erano in area metropolitana di Napoli (Asl 1 2 3); è stata vietata la mobilità tra comuni ma non ci sono i controlli; abbiamo alcune zone rosse ma abbiamo deciso con i prefetti di presidiare le zone centrali”.
E ancora, nel corso dell’incontro tra governo e Regioni il governatore avrebbe detto che è “sconcertante” il fatto che sulla scuola si fanno dichiarazioni ideologiche scollegate da dati scientifici.
E gli scienziati sembrano dargli ragione. “Secondo uno studio pubblicato in Lancet Infectious Diseases sui dati di #covid-19 di 131 nazioni, riaprire le scuole incrementerebbe il numero riproduttivo dell’infezione del 18% in 14 giorni e del 24% in 28 giorni”, ha scritto su Twitter il professor Massimo Galli, primario dell’ospedale Sacco di Milano, specificando però che “non sono stati calcolati i rischi per grado di scuola”.
Anche tra i governatori non c’è tuttavia unità d’intenti. “Il Paese non può permettersi un nuovo lockdown”, ha detto il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti, il quale in una nota sui social suggerisce che bisogna intervenire sulla categoria più fragile, gli anziani.
“Proteggendo i nostri anziani di più e davvero, la pressione sugli ospedali e il numero dei decessi diventerebbero infinitamente minori. Sarebbe folle richiudere in casa tanti italiani per cui il Covid normalmente ha esiti lievi, bloccare la produzione del Paese, fermare la scuola e il futuro dei nostri giovani e non considerare alcun intervento su coloro che rischiano davvero”.
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