Diversi scienziati continuano sostenere che le scuole sono luoghi dove il Covid non si propaga, quindi studenti e docenti possono sentirsi al sicuro perché il rispetto delle regole di prevenzione è massimo. Anche il Comitato tecnico scientifico la pensa così, ad iniziare dal suo coordinatore Agostino Miozzo. E pure il premier Giuseppe Conte e la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina hanno sposato la causa del ritorno il più possibile ravvicinato, sempre partendo dall’assunto che a scuola la sicurezza è garantita.
Ma la convinzione non è assoluta. Soprattutto perché le istituzioni non hanno mai ufficializzato il basso numero di contagi con dati effettivi.
A pensarla diversamente, ricordando soprattutto che il problema è collaterale alla scuola, allargandolo ai mezzi di trasporto e alle possibilità di assembramento degli studenti, sono diversi addetti ai lavori. E non solo. Come lo statistico Livio Fenga, dell’Istat, che ha realizzato uno studio, a titolo personale, sugli effetti dell’apertura delle scuole nel settembre scorso: ebbene, per lo statistico il ritorno a scuola a settembre avrebbe avuto un impatto notevole sull’aumento dei casi di infezione da nuovo coronavirus in Italia, che è possibile quantificare in circa 225.815.
“La robustezza dei risultati ottenuti farebbe propendere per uno slittamento della data di riapertura delle scuole”, ha sottolineato lo statistico. Proprio perchè “le scuole hanno avuto un grande impatto” sulla formazione della seconda “ondata” di casi di positività al Covid-19, ha detto Fenga.
Tuttavia, ha precisato a colloquio con l’Ansa, “è da osservare che, specialmente in alcuni casi, la data delle votazioni del 20-21 settembre può aver condizionato i risultati dell’analisi statistica e, in questi casi, è più corretto riferire l’incremento dei casi a un effetto combinato di scuola ed elezioni”.
Certamente, lo studio non dice che i contagi siano avvenuti nelle scuole. Ma la correlazione sulla loro riapertura con l’impennata dei contagi appare evidente: dallo studio statistico emerge che soltanto per la Provincia autonoma di Trento e per le Marche “la stima non risulta significativa”.
“Negli altri casi si osserva una significatività statistica” e “il totale stimato a livello Italia è pari a circa 225.815 positivi“.
Considerando le regioni, l’impatto maggiore, in termini assoluti, si è verificato in Lombardia (45.178 casi imputabili a riapertura delle scuole) e Campania (38.789 casi), seguite da Lazio (23.507), Piemonte (17.675), Toscana (15.485), Veneto (15.264), Emilia Romagna (13.575) e Sicilia (12.900).
Anche secondo l’epidemiologo Pierluigi Lopalco, assessore alla Salute della Regione Puglia, la scuola è stata “effettivamente un incubatore di infezione”: lo ha scritto in una relazione trasmessa al governatore Michele Emiliano e riportata nell’ordinanza firmata la notte scorsa dallo stesso Emiliano, con la quale è stata confermata per le scuole primarie e medie la possibilità per i genitori di scegliere la didattica digitale integrata per i propri figli.
In Puglia, ha detto Lopalco, “a seguito dell’apertura delle scuole si era assistito ad un incremento dei casi nelle fasce di età scolare fortemente sproporzionato rispetto all’incremento nelle altre fasce di età”.
Secondo l’assessore, negli ultimi giorni il Covid ha colpito anche il personale scolastico.
“È di particolare rilievo – ha detto Lopalco – l’evidenza che la maggior parte dei contagi nella prima fase della ripresa epidemica abbia interessato principalmente gli studenti mentre successivamente sia stato interessato anche il personale scolastico”.
Il governo, comunque sia, ha deciso: dal 7 gennaio, tranne nelle zone che eventualmente dovessero essere ancora ‘rosse’, gli studenti saranno (se si eccettua il 25% delle superiori) tutti in classe.
Stavolta, dopo i problemi di ottobre, con il nuovo Dpcm, pubblicato anche in Gazzetta Ufficiale, si è deciso di far gestire i trasporti dalle prefetture. Le quali convocheranno le parti coinvolte per arrivare ad una soluzione che limiti al massimo gli assembramenti, anche agendo sugli orari di entrata e di uscita dagli istituti.
A Roma, per giovedì prossimo, è stato fissato per la prossima settimana un tavolo per il trasporto pubblico locale, coordinato proprio dalla prefettura capitolina.
Intanto, continua la protesta di chi avrebbe preferito tornare subito in classe. A Milano dei gruppi di studenti e i genitori hanno affisso volantini rossi con la scritta ‘A Natale regalate la scuola’.
Il sindaco Giuseppe Sala ha detto che non si sente “di dar torto agli studenti: abito di fronte al liceo Parini e questa mattina i ragazzi hanno lasciato questo messaggio nel quartiere e sul portone di casa mia”.
Sabato 5 dicembre tornerà in scena il movimento Priorità alla Scuola: alcuni rappresentanti si ritroveranno davanti al ministero dei Trasporti, a Porta Pia a Roma.
È intanto arrivata in Parlamento la vicenda della 13enne di Torino, Eva, espulsa dalla lezione a distanza perché collegata per fare la DaD non da casa.
Augusta Montaruli, di Fratelli d’Italia, ha annunciato un’interrogazione. “Il diritto di protestare non può essere compresso.
Sempre a Torino le studentesse Anita e Lisa che sono tornate in piazza, davanti alla Regione, per seguire le lezioni e per protestare contro la scuola a distanza anche per le seconde e terze medie, sebbene le regole della zona arancione consentano la presenza in classe. Per proteggersi dalla neve, le 12enni hanno ‘occupato’ i portici della Regione Piemonte con striscioni e cartelli. E da sedute per terra hanno seguito la lezione.
Italia Viva, infine, al termine della cabina di regia, ha espresso “amarezza per la situazione della scuola superiore italiana che è l’unica tra i grandi paesi europei a rimanere ferma alla didattica on line”.
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