“I ritardi di apprendimento dovuti al Covid-19 non si colmano di certo con due-tre settimane in più a giugno: bisogna ragionare su quello in corso, ma anche” e soprattutto “sul prossimo anno scolastico”. Così si è espresso il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi intervenendo il 16 marzo in audizione al Senato sul Piano nazionale di Ripresa e resilienza.
“Sono assolutamente convinto – ha specificato Bianchi – che serva riprendere la scuola in presenza, a partire dalle aree periferiche, ma c’è un ruolo rilevante delle Autonomie, il calendario lo fanno le Regioni”.
“Dobbiamo riportare i più piccoli in presenza e soprattutto lavorare in vista del prossimo anno scolastico, dobbiamo andare ad un innalzamento della qualità dell’offerta didattica complessiva, spero di avere risorse per interventi sostanziali per garantire un ponte in vista del prossimo anno scolastico: il problema degli apprendimenti non si risolve negli ultimi 20 giorni di giugno”, ha ribadito ai senatori il ministro.
Non è mai accaduto in 20 anni
Il responsabile del dicastero dell’Istruzione ha ribadito quindi l’impegno del Governo “per ricominciare la scuola dal primo di settembre” con le cattedre coperte: “è una cosa mai successa negli ultimi 20 anni”, che comporta un impegno non indifferente che “implica non ledere diritti di nessuno e di slegarsi da vincoli importanti che altrimenti rischiano di pregiudicare i risultati”.
No ai provvedimenti ope legis
Il professor Patrizio Bianchi ha però anche sottolineato che non è intenzione del ministero e del Governo operare assunzioni in ruolo con modalità cosiddette ope legis.
Una precisazione che ha il sapore della risposta implicita a chi pensava già a delle immissioni in ruolo automatiche dovute all’alto numero di cattedre vacanti e alla contemporanea emergenza da Covid.