I casi di Coronavirus non sembrano proprio scendere in modo drastico: nell’ultimo giorno sono stati registrati 15.204 nuovi casi ufficiali, con 467 decessi e il tasso di positività tornato al 5,17%, con oltre l’1% rispetto alle ventiquattr’ore prima, quando i nuovi contagi si erano fermati a 10.593. Se si vuole tenere basso il livello dei contagi è comunque meglio che gli alunni non vadano a scuola: a farlo intendere, parlando delle fonti dei contagi, numeri alla mano, è stato il professore Massimo Galli, direttore di Malattie Infettive dell’ospedale Sacco di Milano.
Intervenuto mercoledì 27 gennaio, in apertura del Congresso Nazionale di NeuroPsicoFarmacologia, l’infettivologo ha espresso una tesi molto diversa, se non contrapposta, ad alcuni suoi colleghi e anche al ministero dell’Istruzione: “Quando si dice che la scuola sia irrilevante – ha detto Galli – non ci sto. Una metanalisi in 131 Paesi mostra che 28 giorni dopo la riapertura delle scuole intese in senso lato, abbiamo un 24% di aumento dell’Rt”, ovvero del tasso di contagiosità.
Il professore, riporta il cronista dell’Ansa, ha sottolineato che l’aumento del “25% si ottiene invece con situazioni che favoriscono la concentrazione di più di 10 persone. Come descrive l’Istituto Superiore di Sanità in un recente rapporto, le infezioni di soggetti in età scolare sono 203 mila”, ma sono, ha sottolineato Galli, “quelle registrate, senza contare gli asintomatici”.
Secondo l’esperto, “i ragazzi tra 14 e 18 anni hanno comunque una parte importante nel totale di coloro che sono infettati in età scolare: che si siano contagiati a scuola o meno, il tema merita attenzione”.
Assieme alla scuola, anche le elezioni che si sono tenute in alcune regioni a settembre, ha concluso Galli, “non è impossibile che un loro peso lo abbiano avuto nel far ripartire la seconda ondata”.
In generale, secondo il professor Galli “dobbiamo stare ancora molto attenti. In altre parole, siamo in una fase in cui l’epidemia è lì, affannosamente i metodi di contenimento in qualche modo l’hanno mitigata, ma non fino in fondo. Ci sono stati dei ripensamenti e il tira e molla cromatico tra una regione e l’altra, le rivendicazioni. Il risultato è che rischiamo di ‘congelare’ ancora la popolazione”.
Galli ha anche citato “la soglia del 30% intesa come soglia di allerta per l’occupazione dei posti letto delle terapie intensive: varie regioni e province autonome o sono al 30% o lo superano o ci sono molto vicine”.
Sulla data di arrivo del Covid-19 in Italia, l’infettivologo ritiene che ciò sia avvenuto “intorno all’8 febbraio, anche se io sono più affezionato all’ipotesi del 26 gennaio“.
“In questa data – ha aggiunto – potremmo aver avuto la penetrazione in Lombardia attraverso un andamento di triangolazione a partire da un’altra area geografica del mondo responsabile del grosso del problema nel nostro Paese nella prima grande ondata di malattia”.
I casi isolati del 2019 (due, in un bambino e in una donna con problemi dermatologici), “hanno l’aria di essere un’altra cosa”.
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