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Covid, Gandini (epidemiologa): tenere le scuole aperte consente un tracciamento altrimenti impossibile

I dati dimostrano che la scuola è un luogo sicuro. L’incidenza dei positivi tra i giovani è significativamente inferiore quella della popolazione generale. Questo per tutte le regioni”.

A dirlo, Sara Gandini, epidemiologa di fama internazionale e biostatista presso l’Istituto europeo di oncologia di Milano, intervistata da Lucia Annunziata su Rai tre.

La dottoressa ha realizzato uno studio con altri colleghi sulla riapertura delle scuole. Basandosi anche sui dati del Ministero dell’Istruzione, raccolti dalle scuole, emerge che non esisterebbe una correlazione tra apertura delle scuole e diffusione del virus.

In media – ha spiegato la Gandini – tra settembre e novembre abbiamo trovato un 39% in meno rispetto alla popolazione in generale. Quindi bambini e ragazzi si contagiano meno e infettano meno degli adulti. L’incidenza dei casi a fine novembre negli studenti è in media intorno allo 0,25%, quindi molto più basso di quello dei docenti che era introno all’1 o 2%”.

In merito all’aumento dellindice Rt, lo studio italiano dimostrerebbe che non è legato alla riapertura delle scuole, tanto è vero che nelle regioni in cui le scuole hanno riapertoi prima l’indice è aumentato più tardi rispetto ad altre aree del paese in cui si è tornati in classe più tardi.

Inoltre abbiamo dimostrato che nelle scuole si fanno più tamponi da tracciamento rispetto ad altre realtà professionali. Ogni settimana, per ogni caso vengono fatti in media tra i 10 e 20 tamponi, e in diverse scuole abbiamo visto oltre 100 test in una settimana in seguito ad un caso positivo per tracciamento. Questo ci porta a dire una cosa importante: tenere le scuole aperte, oltre ad un dovere civico, è in realtà un servizio che lo Stato fa ai cittadini, perché consente un tracciamento altrimenti impossibile se le scuole sono chiuse, quindi ci permette di individuare i casi asintomatici. D’altronde lo sappiamo che più cerchi e più trovi, è una regola delle malattie infettive. Quindi è importante fare tracciamento e la scuola permette di farlo”.

Dallo studio – ha concluso la Gandini – è anche emerso che l’aumento dei positivi tra gli studenti si è avuto solo dopo l’aumento tra le fasce d’età 20-30-40-49 anni, quindi non sembrano gli studenti responsabili degli aumenti che si sono visti in autunno. Tutti gli studi internazionali vanno in questa direzione, la stessa OMS afferma che la maggior parte delle infezioni riportate dagli studenti sono in realtà state acquisite a casa e che negli eventi cluster scolastici il virus è stato introdotto da personale adulto. La scuola dunque appare un luogo sicuro”.

Uno studio dell’Olanda sulla DaD

La Gandini ha anche accennato ad un recente studio olandese sulla didattica a distanza.

In Olanda, uno dei Paesi più tecnologicamente avanzati, nonostante abbiano avuto un lockdown non così severo e non troppo lungo, hanno avuto una riduzione dell’apprendimento del 20% e del 50% per studenti con genitori non laureati, con l’introduzione della didattica a distanza. Inoltre, durante la prima ondata, rispetto al 2019, c’è stato un calo dell’occupazione femminile significativo e un incremento di donne che hanno rinunciato a cercare lavoro, soprattutto nelle fasce giovanili. È un elemento molto importante, di cui dobbiamo tenere conto, e che è legato anche alle scuole“.

Lara La Gatta

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