Come sta messa l’Italia in quanto a numero di omicidi? Bene o male? “Caspita, crescono sempre di più. Ogni giorno non si sente parlare d’altro che di morti ammazzati!”. Sbagliato. L’Italia è uno dei Paesi più sicuri al mondo, con un numero di omicidi di appena 0,53 ogni 100 mila abitanti (Dati Istat sul numero di omicidi in Italia nel 2019). In un Paese reputato tranquillo, come Malta, si ammazza il 400% di volte in più.
Perché allora abbiamo la sensazione che viviamo in una nazione violenta? Perché la mente umana non è particolarmente predisposta per le statistiche e tende invece a farsi molto influenzare dai casi singoli, soprattutto se esercitano su di essa un forte impatto emotivo.
Ad esempio, guardiamo agli attacchi terroristici degli ultimi anni in Europa e pensiamo che essi abbiano causato un grande numero di morti, per scoprire che il terrorismo è fra le minori cause di morte esistenti e che uccide molto meno di un po’ d’acqua caduta sul pavimento della cucina.
Viene chiamato “bias di disponibilità” e consiste nel fatto che più abbiamo disponibile (cioè facilmente recuperabile a livello della nostra memoria di lavoro) il ricordo di un evento nell’archivio della nostra memoria episodica a lungo termine, più tendiamo a considerarlo frequente e ad usare questa errata percezione come sostituto di un effettivo dato statistico (Mi viene subito in mente? Allora succede spesso).
E’ su questo bias (errore sistematico) mentale che si appoggia normalmente, ad esempio, chi vuole trasmettere paura, come i terroristi.
Esso si sposa perfettamente con un altro bias, che chiamiamo “disattenzione per il denominatore”. Tendiamo cioè a guardare ai casi singoli senza fare riferimento alla base statistica a cui si riferiscono. I 18 casi di trombosi fatali correlabili alla somministrazione del vaccino AstraZeneca (il numeratore) appaiono tantissimi e fanno scattare l’euristica della disponibilità di cui s’è detto (ogni nuovo caso la consolida nella nostra memoria), senza che si consideri su quante persone vaccinate (il denominatore) avviene quell’evento infausto: 25 milioni di persone (dati EMA).
Ora, il rapporto, di uno su un milione o più, dei morti per trombosi attribuibili al vaccino lo fa vincere sul campo della sicurezza rispetto perfino ad attività come l’alzarsi dal letto la mattina o stare seduti sulla sedia, gesti che causano (per la possibile caduta) un numero di decessi ben superiore (i dati statistici su questi eventi vengono calcolati utilizzando un indicatore probabilistico chiamato “micromort”, che indica il numero di decessi ogni milione di persone causati da un singolo comportamento o evento).
Il problema serio è che l’indulgenza verso le nostre umane debolezze va anche contemperata col dato del loro impatto sulla nostra sicurezza, se consideriamo che i comportamenti dettati da tale irrazionalità (rimando o non faccio il vaccino) causano un numero spropositato di morti in più di quelli paventati rispetto al farlo. Insomma, cuore e numeri sembrano percorrere spesso strade drammaticamente separate.
La risposta, naturale e più che comprensibile (al netto del negazionismo o del complottismo d’ufficio), è quella classica: Sì, lo capiamo, ma abbiamo paura lo stesso. E non c’è argomentazione razionale che tenga.
E’ vero, ed è per questo che la scuola può assumere un ruolo importante, insegnando fin da piccoli agli alunni cosa sono e come agiscono i bias della nostra mente, come si interfacciano con le emozioni e come possiamo arginarne gli effetti più pericolosi. Educazione socioemotiva, sviluppo dello spirito critico e dell’attitudine alla verifica delle informazioni e all’analisi razionale dei dati disponibili costituiscono per questo un fattore fondamentale di crescita. Personale, sociale e civile. Meglio, forse, pensarci per tempo.
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