L’ex coordinatore del Cts Agostino Miozzo, ieri 23 febbraio, nell’appuntamento della Tecnica della Scuola Live, ha riferito molti retroscena delle conversazioni in seno al Cts: “Dalla fine di aprile 2020 abbiamo iniziato ad analizzare i protocolli scolastici assieme ai colleghi dell’Inail – racconta – che ci faceva capire che il distanziamento imponeva la divisione dei banchi e ci siamo resi conto che le indicazioni che davamo erano devastanti perché impattavano su un sistema in grandissima sofferenza,” ha spiegato il medico.
“Quando decidemmo il metro sulla base della rima buccale, i dirigenti ci chiamavano per dirci che le loro aule erano troppo piccole, così ci siamo resi conto che non siamo la Svezia, nelle nostre classi abbiamo uno spazio fisico molto più ridotto e lì ci arrampicammo sugli specchi, stiracchiando la scienza, per decidere la formulazione del metro, ragionando sulle goccioline, i droplet, perché sapevamo che quel metro poteva creare un 30% di classi in più e questo significava il 30% di docenti in più, il 30% di personale scolastico in più, ore in più”.
“Insomma – conclude – noi sapevamo che con quella indicazione avremmo creato un altro tsunami nella scuola”.
Nel corso della trasmissione l’ex coordinatore del Cts interpreta anche le decisioni che hanno portato quest’anno a far cadere la distanza minima di un metro che era stata imposta alle classi.
“L’attuale scelta di raccomandare e non obbligare il distanziamento di un metro tra gli alunni – senza più riferirsi alla rima buccale – è puramente politica, non scientifica: me non risulta che il droplet”, quindi le indicazioni del Comitato tecnico scientifico, “si sia ridotto nella distanza”: a dirlo è stato oggi Agostino Miozzo, dirigente medico ed ex coordinatore del Cts, nel corso della Tecnica dellaScuola Live dal titolo “Due anni di pandemia, cosa cambia per la scuola dopo il 31 marzo?”.
Secondo Miozzo “semmai Omicron ha avuto una diffusione molto più significativa, per cui ora lo strumento di blocco, la mascherina, magari Ffp2, diventa essenziale per evitare sia l’inalazione che l’eventuale diffusione”.
L’ex coordinatore ripercorre i 13 mesi passati a capo del Comitato scientifico: “La scuola – ha raccontato – è stata sin dall’inizio nei pensieri del Cts. All’inizio la chiusura delle scuole era stata raccomandata da tutta la comunità internazionale perché si aveva la percezione che la scuola come momento di aggregazione potesse essere il centro del focolaio epidemico. Noi ci siamo adattati con la comunità internazionale che brancolava nel buio, si andava avanti per ipotesi”.
“Bisogna contestualizzare l’emergenza e mettersi nei panni di chi come tutti noi si è trovato in quella situazione di fronte a un nemico invisibile di cui non si sapeva nulla. La scuola all’inizio sembrava un nemico, poi abbiamo chiarito il problema”.
I disagi psicologici dei ragazzi? Ce li aspettavamo, eravamo preoccupati, ammette l’ex coordinatore.
“La scuola era nei nostri pensieri in tutte le riunioni di Cts, la scuola è stata un’ossessione. Quando abbiamo decretato il lockdown i due pediatri erano i più preoccupati, e ci dicevano: così noi blocchiamo i bambini e i giovani in un appartamento, in 50 mq, perché pochi hanno la villa con giardino, la stragrande maggioranza di loro vive in ambienti chiusi, convive con i familiari, con i nonni.
Questa percezione l’avevamo sin dall’inizio – spiega Agostino Miozzo – e con grande sofferenza abbiamo preso la decisione del lockdown, pensando ai bambini, ai ragazzi e all’anziano. Se l’anziano non fa la passeggiata il suo sistema cardio-vascolatorio va in tilt. Avevamo due preoccupazioni: i giovani e gli anziani”.
“E quando ancora oggi sento di ragazzi in DaD – ha concluso il medico – mi viene l’ansia, stiamo alimentando un disastro che esploderà nei mesi e negli anni a venire”.
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