Il ritorno a scuola è da alcuni associato al ruolo dei bambini nella diffusione del coronavirus di questo autunno.. In realtà tutte le indagini effettuate in vari Paesi del mondo dimostrano che la trasmissione avviene quasi sempre altrove e all’interno delle famiglie e gli studi in ambito scolastico mostrano una bassa trasmissibilità nelle scuole.
Ad affermarlo, Guido Castelli Gattinara, Presidente SITIP (Società Italiana di Infettivologia Pediatrica), e Giangiacomo Nicolini, specialista in malattie infettive all’Ospedale San Martino di Belluno e membro del Consiglio direttivo SITIP.
“Un’ampia analisi di molti studi scientifici conclude che i bambini raramente sono i ‘carrier’ di Covid: si parla di un 8%. Per fare un confronto basta pensare che nell’epidemia di influenza aviaria H5N1 i bambini avevano, invece, portato l’infezione in famiglia in circa il 50% dei casi”, affermano i due esperti.
“Ecco perché – continuano – gli asili e le scuole primarie possono rimanere aperte, con le opportune precauzioni e raccomandazioni di legge per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2, anzi devono farlo, data la loro importanza fondamentale per l’educazione e la socializzazione dei bambini”.
Come leggiamo sul sito della Società Italiana Pediatri, che i più piccoli presentino una scarsa capacità di trasmettere il virus lo dimostrano pure gli studi sui focolai nelle scuole: “A giugno in Inghilterra su 30 focolai scolastici la trasmissione dai e ai bambini ha interessato solo 8 casi e da bambino a bambino solo 2 casi su 30. In Germania tra marzo e agosto sono stati registrati vari focolai scolastici che hanno rilevato come le infezioni sono state meno comuni nei bambini di 6-10 anni rispetto ai bambini più grandi e agli adulti che lavoravano nelle scuole”.
A questo deve aggiungersi, ad ulteriore conferma, uno studio italiano, di Danilo Buonsenso, pediatra della Fondazione Policlinico Agostino Gemelli IRCCS di Roma “Al 5 ottobre un singolo caso di infezione veniva riportato in più del 90% delle scuole, mentre un cluster epidemico con più di 10 studenti è stato riportato da una sola scuola”, concludono i due medici.
Secondo uno studio pediatrico condotto da SIP e SITIP su oltre 50 dei principali Centri Clinici infettivologici italiani, la febbre è il sintomo d’esordio più frequente (81,9% dei casi) dell’infezione da SARS-CoV-2 nel bambino, seguita da tosse (38%) e rinite (20,8%). Al quarto posto c’è la diarrea (16%).
L’indagine ha anche messo in evidenza che esiste un pattern tipico di presentazione con l’età. Mentre i bambini sotto l’anno presentano più frequentemente tosse e rinite, i ragazzi più grandi, in età adolescenziale e preadolescenziale, hanno sintomi più tipici a quelli dell’adulto: alterazioni del gusto e dell’olfatto, vomito, mal di testa e dolore toracico.
Nell’infanzia, l’infezione avviene prevalentemente in modo asintomatico o paucisintomatico: i bambini piccoli si possono infettare, ma spesso senza conseguenze. Si ammalano invece coloro che hanno già una patologia cronica, così come accade negli adulti e negli anziani.
Le ragioni per cui i bambini si ammalano meno è ancora tutta da scoprire: secondo i due esperti, “le varie ipotesi attribuiscono un valore protettivo a una migliore risposta immunitaria, magari per il maggior stimolo delle altre infezioni virali frequenti nell’infanzia, per le tante vaccinazioni, per la minore espressione di recettori ACE-2 presenti nell’infanzia. Tutte ipotesi molto verosimili, ma ancora da confermare”.
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