La statistica conferma l’ipotesi scientifica: il rischio che un giovane ha di prendere il Covid è fortemente più basso rispetto ad un adulto. Se gli under 20 hanno una suscettibilità al virus che è pari al 43% rispetto agli adulti, la contagiosità dei bambini crolla addirittura al 63%. Ad indicare le percentuali è un modello matematico-statistico applicato ai contagi registrati nella popolosa città israeliana di Bnei Brak durante la prima ondata della pandemia, quando ancora non circolavano le più recenti varianti del Coronavirus.
I risultati sul ceppo virale dominante sono stati pubblicati dall’Università di Haifa sulla rivista Plos Computational Biology e ripresi dall’agenzia Ansa.
I ricercatori, coordinati dallo statistico Itai Dattner, hanno preso in esame i casi di infezione registrati nella primavera del 2020 in 637 gruppi familiari di cui tutti i componenti erano stati sottoposti a tampone molecolare, alcuni anche a test sierologico per gli anticorpi contro SarsCoV2. Su questi dati, i ricercatori hanno applicato diversi modelli matematici e statistici relativi alla trasmissione familiare del virus.
I ricercatori hanno anche ravvisato che i giovani sono pure quelli che più spesso risultano negativi al tampone pur avendo contratto il virus: ecco per quale motivo vi sarebbero dunque meno diagnosi di Covid-19 tra i giovani rispetto agli adulti, aiutando così le autorità sanitarie a sviluppare strategie di prevenzione più mirate. Simili studi sulle dinamiche di trasmissione del virus potrebbero essere fatti anche per altri contesti, come le scuole e le case di riposo per anziani.
Soprattutto il dato che non di rado i giovani risultano negativi al tampone, pur avendo contratto il Covid-19, dovrebbe indurre le autorità sanitarie ad accelerare per la somministrazione dei vaccini docenti e personale scolastico, come del resto sembra già abbiano previsto in Italia.
Considerando il numero quasi sempre a due cifre di alunni presenti contemporaneamente in classi in media non particolarmente ampie, per circa un milione e 200 mila tra docenti e Ata che operano in Italia il rischio di contagio risulta teoricamente maggiore rispetto a quello di altri dipendenti o lavoratori pubblici e privati.
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