Sulla scuola in questi giorni abbiamo sentito tutto e il contrario di tutto. Bisogna far tornare tutti gli studenti in classe subito. Ma c’è chi sostiene che il 7 gennaio è troppo presto, perché ci sono ancora oltre 500 decessi al giorno per il Covid, tanto che la Germania, in condizioni simili all’Italia, ha appena deciso di chiudere tutto, scuole comprese. Va bene, ma allora sarebbe il caso di prolungare le lezioni fino a luglio, così si recuperano gli argomenti non svolti. Anche su questo fronte c’è contrapposizione, perché altri dicono che non c’è nulla da recuperare e poi in estate le aule scolastiche sono impraticabili per il caldo.
Le voci contraddittorie si sono accavallate anche nelle ultime ore. Il sindacato Unsic ha lanciato una petizione, affinché si prolunghi la Dad nelle scuole superiori per qualche altra settimana, favorendo gradualmente il rientro in presenza in condizioni migliori, con un miglioramento delle cure per il Covid ed un numero sempre maggiore di persone vaccinate: in caso contrario, affrettando il rientro, si rischierebbe un nuovo incremento dei contagi, non tanto per il ritorno scuola, ma per via “dei trasporti e degli assembramenti studenteschi davanti agli edifici scolastici”. Una eventualità supportata pure da un dossier https://unsic.it/news/lo-scuolavirus
Nella stessa giornata, però, gruppi di docenti, studenti e famiglie sono tornati a protestare davanti alle scuole italiane per chiedere la riapertura di tutti gli istituti, di ogni ordine e grado.
È accaduto a Firenze, con una assemblea pubblica del Comitato Priorità alla Scuola Firenze/Toscana, ma anche a Milano, dove si sono svolte ‘lezioni carbonare’.
“Un segno che si ripete ogni settimana, per dire che la lotta continua e non si fermerà. Saremo ogni domenica pomeriggio nei parchi, negli spazi verdi dei quartieri, fino a che le scuole di ogni ordine e grado non saranno tornate in presenza e sicurezza. Fino a che non avremo una città in cui non si metta in lockdown l’essenziale”, hanno detto gli organizzatori.
Ma il ritorno a scuola deve comportare delle certezze. Quelle che sono mancate a settembre. Servono, quindi, più corse di mezzi pubblici. E che studenti, docenti e Ata siano monitorati.
“Per riaprire le scuole è necessario attivare in ogni comune un centro per fare i tamponi ai casi sospetti tra gli studenti e il personale scolastico, una proposta da noi fatta due mesi fa”, ha detto in un’intervista a Radionorba, il vice presidente dei pediatri italiani, Luigi Nigri, commentando l’annuncio dell’assessore alla sanità della Puglia, Pier Luigi Lopalco, di un piano screening per riaprire le scuole a gennaio.
Nigri ha aggiunto che servirebbe “un centro dedicato agli studenti dove si può andare direttamente, inviati dal pediatra anche dalla scuola in caso di sintomi Covid anche molto sfumati, per avere il risultato di un tampone non dico in tempo reale ma nel giro di qualche ora“.
“Un bambino ha febbre e tosse, per sapere se è Covid o no dobbiamo fare il tampone, se il bambino riesce in giornata a fare il tampone e viene fuori che è Covid positivo va a casa e si applicano tutte le misure previste, altrimenti si cura il tempo necessario per la patologia, e potrà essere visitato dal pediatra anche nel suo studio: dopo qualche giorno rientrerà a scuola”, ha concluso Nigri.
C’è anche chi pensa al prolungamento delle lezioni dell’anno scolastico. Come Giorgio Germani, Presidente nazionale di Anquap, dirigenti e assistenti amministrativi, per il quale “il possibile allungamento delle attività didattiche per recuperare il tempo delle lezioni perduto o ridotto è un’ipotesi da considerare. L’Anquap, che rappresenta Direttori sga e Assistenti amministrativi è disponibile a valutare questa ipotesi nell’interesse degli alunni: la ragion d’essere dell’istruzione”.
Insomma, sulla scuola si è scatenato un dibattito fitto. Ma senza entrare quasi mai sul merito e sui costi-benefici che comporta la decisione di tornare a scuola. L’impressione è che troppo spesso la questione si ponga solo in superficie, senza toccare il cuore della questione.
Per quale motivo, tanto per capirci, il 7 gennaio dovrebbe essere meno pericoloso andare a scuola, prendendo i mezzi pubblici, rispetto al 24 ottobre, quando le superiori hanno stoppato la didattica in presenza, e i contagi erano meno di 20.000 al giorno. Oggi sono più o meno gli stessi.
La speranza è che da qui ai prossimi 20 giorni il calo progressivo faccia passare dagli attuali 18-20 mila nuovi contagi al giorno a poche centinaia o qualche migliaio. Ma se le cose non dovessero andare così? Se, effettivamente, dopo le feste passate assieme ai familiari, dovesse registrarsi pure un nuovo aumento dei casi, allora come la mettiamo?
E se nel frattempo le prefetture non riuscissero a far quadrare gli incrementi dei trasporti con gli orari scaglionati di entrata e uscita da scuola? Inoltre, non tutte le scuole, per vari motivi, sono in condizioni di programmare lezioni dalle 8 alle 20.
E ancora: quanto bisognerà attendere per vedere attuato il progetto dei tamponi rapidi da mettere a disposizione di alunni e personale per il quale vi siano dei sospetti di contagio?
Sarebbe molto importante, ad esempio, avere la possibilità di fare il tampone al ritorno a scuola: in tal modo, si andrebbero a isolare i casi (si spera pochi) di alunni e dipendenti positivi.
Invece di ridurre tutto alla data del rientro, sarebbe bene chiarire questi punti. Comprendere, in pratica, se vi sono ancora rischi reali nel rimettere in “circolazione” oltre due milioni e mezzo di giovani trai 15 e i 19 anni: a scuola, è vero, starebbero al sicuro, ma per arrivarci il timore fondato è che si esponessero ancora al pericolo di contrarre il temibile virus. Facendo venire meno, in questo caso, il diritto alla salute. Che per forza di cose viene prima di tutto.
Col Decreto Ristori, è vero, è stato previsto che Comuni e Regioni realizzino convenzioni con aziende private di bus anche per il trasporto degli studenti. Ma sugli accordi (gli stessi che dovevano fare ospitare gli alunni di troppo in sedi extra-scuola e poi sappiamo come è andata a finire) non si viaggia: servono mezzi e metropolitane in più. L’accordo non basta.
Certamente, la speranza è anche legata al fatto che le riunioni gestite dalle prefetture, come previsto dall’ultimo Dpcm, riescano a ridimensionare gli affollamenti sui mezzi pubblici, grazie ad entrate-uscite da scuola scaglionate ed anche doppi turni. Ma anche in questo caso il tempo è tiranno e non sembra che si spinga sull’acceleratore per giungere a conclusioni immediate.
Nei prossimi giorni vorremmo quindi che si parlasse solo di questo. Di quello che è stato fatto negli ultimi due mesi e di quanto si farà sino ai primi di gennaio per ridurre al minimo il pericolo di contrarre il Covid nel tragitto casa-scuola-casa. Il resto, le date del rientro e l’eventuale prolungamento delle lezioni fino a luglio, sono solo la conseguenza.
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