Una delle principali criticità in apertura dell’anno scolastico si è rivelata essere il periodo di attesa che intercorre tra l’individuazione di un caso Covid positivo e l’eventuale disposizione della quarantena per la classe o per l’istituto. In altre parole, tra caso positivo e quarantena, spesso è caos nelle scuole.
Perché questo nodo critico? Perché in attesa dei tempi del tampone (tradizionale), un gran numero di persone resta a casa per molti giorni, magari inutilmente quando i tamponi alla fine si rivelano negativi.
E non sono mancate neanche situazioni paradossali in cui i ragazzi attendevano a casa il tampone, mentre i docenti, impossibilitati ad assentarsi per evitare il crollo didattico-organizzativo dell’intero istituto, venivano autorizzati ad andare a scuola per prestare servizio in altre classi.
Questione che ha anche segnato la distanza tra le scuole di una regione e le scuole di un’altra, sulla base del tipo di test usato. Infatti laddove vengono adoperati i test rapidi, come in Veneto o in Emilia Romagna, le scuole si muovono con passo sicuro (le lezioni riprendono normalmente già il giorno dopo il caso positivo, se i tamponi risultano negativi, o si traducono in DaD in caso contrario); dove vengono usati i tamponi tradizionali, nei lunghi tempi di attesa si vive in un limbo, spesso mettendo in moto quelle azioni insensate di cui abbiamo appena parlato (ragazzi a casa, docenti a scuola).
Quale soluzione? I test rapidi, per accelerare le valutazioni dell’ASL circa le eventuali quarantene da disporre nella scuola. Lo sostiene un documento del Ministero della Salute che si pone l’obiettivo di facilitare la decisione di applicare o meno misure quarantenarie in tempi brevi, col vantaggio ulteriore di impedire il sovraccarico dei laboratori.
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