Succede in Alto Adige, che come sappiamo è zona rossa: una famiglia di 7 figli si trova ancora una volta a fare scuola tra le mura domestiche ricorrendo alla DaD, che con famiglie numerose non può che trasformarsi in un incubo.
Perché? Cosa può andare storto?
Lo si può immaginare facilmente: può cadere la connessione Internet; possono non bastare i computer ad uso dei ragazzi impegnati in DaD; possono essere insufficienti le stanze della casa tali che ognuno non venga disturbato dalla lezione dell’altro.
In casa De Bonis-Rinaldi non esiste un solo momento di calma e silenzio, lo capiamo bene, mentre i sette figli tra i 16 anni e i 3 mesi fanno ognuno la propria vita e la propria lezione, tentando di controllare il panico quando la tecnologia non li assiste.
L’Ansa riporta: “Mamma Chiara allatta il piccolo Nicolò. Sul divano Isabel (11 anni) scannerizza con il cellulare un compito, mentre Jonathan (13 anni), un ragazzo simpaticissimo con la sindrome di down, gioca con un serpente di stoffa. In cucina i gemelli Pietro e Agnese (7 anni) seguono sul portatile una lezione.”
E all’occasione, quando i tre pc non sono sufficienti c’è chi si arrangia col cellulare.
Il papà
Il papà Igor si esprime anche sull’importanza della didattica in presenza per il figlio con sindrome di down: “L’apprendimento dietro a un banco di scuola non può essere compensato dalla didattica a distanza. Figuriamoci poi per un ragazzo con la sindrome di down, per il quale il contatto fisico è tutto. Anche se ha qualche ora di assistenza al giorno, ma senza compagni non ci può essere integrazione”.
La mamma
Chiara, la mamma, lancia un appello a chi ci governa: “La famiglia, che abbia un unico genitore, un figlio oppure sette, è il nucleo della società. Se non sosteniamo le famiglie, non avremo adulti sereni, capaci e competenti.” E conclude: “La cosa più importante è che domani scompaia la pandemia e si torni a un vita normale”.