Gli insegnanti e il personale scolastico di età compresa tra i 21 e i 65 anni non sono a più elevato rischio di ricovero ospedaliero o morte per COVID-19 rispetto ai lavoratori di simile età (operatori sanitari, popolazione generale in età lavorativa). È quanto riferisce il documento dell’Iss sul rientro in classe, citando uno studio basato sul database di tutti gli insegnanti scozzesi dopo aver tenuto conto delle differenze in comorbilità, etnia, età, sesso e deprivazione dell’area di residenza, sia nel periodo tra marzo e agosto del 2020 (antecedente all’apertura delle scuole) che tra settembre 2020 e gennaio 2021 (dopo la riapertura).
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Insomma, con la riapertura delle scuole ripartirà anche l’interrogativo sul ruolo della scuola nella diffusione o meno del contagio da Covid-19, ma l’Istituto Superiore di Sanità gioca d’anticipo, chiarendo che in Italia niente lascia pensare che la scuola sia causa di focolai, né sul fronte degli studenti né su quello degli insegnanti.
Da uno studio condotto su 7,3 milioni di studenti e 770.000 insegnanti, infatti, emerge che la riapertura delle scuole a settembre non ha contribuito all’innesco della seconda ondata pandemica tra ottobre e novembre.
Lo studio include i dati del Ministero dell’Istruzione, di Aziende Sanitarie e Protezione Civile.
Le conclusioni cui giunge l’ISS
Si legge nel documento dell’ISS:
L’incidenza di positivi tra gli studenti è inferiore di circa il 40% per le scuole elementari e medie e del 9% per le superiori rispetto a quella della popolazione generale.
A fronte di un elevato numero di test effettuati ogni settimana negli istituti, meno dell’1% dei tamponi eseguiti sono risultati positivi.
I focolai da Sars-Cov-2 nelle scuole sono risultati <7%.
I dati non identificano un’associazione tra riapertura scolastica e un aumento dell’Rt analizzato su base regionale.