Mentre procedono le nuove strette del Dpcm, che suggeriscono alle scuole di implementare la DaD in modo più sistematico nelle scuole superiori, le procedure e i tempi di risposta al virus continuano a mostrarci due Italie, specie in fatto di tamponi: l’Italia dei test rapidi e quella delle procedure lente e pure un po’ confuse.
Lunedì scorso un caso positivo all’interno di un istituto. Si mette in moto il referente Covid in accordo con l’Asl. Il giorno dopo gli alunni di due classi si presentano a scuola per essere sottoposti al tampone rapido. In serata i risultati: tutti negativi. L’indomani gli stessi alunni sono di nuovo regolarmente in classe. Non un giorno di assenza da scuola. Nessun docente in quarantena, nessun disagio per l’istituto. Solo una mattina di fermo lezioni.
E nel contempo, in altre regioni…
Premettiamo: i tamponi tradizionali hanno di certo i loro vantaggi: sono più affidabili, ci garantiscono gli scienziati, danno meno falsi positivi o negativi. Tuttavia, specie quando i laboratori cominciano ad essere sotto pressione, le criticità del tampone tradizionale diventano particolarmente evidenti. Dai racconti dei nostri lettori, ad esempio, ci arrivano narrazioni alle volte paradossali come quella di un istituto che in presenza di un positivo ha fatto la scelta di mettere in quarantena fiduciaria gli alunni di due classi ma non i rispettivi docenti, per evitare che la lunga assenza degli insegnanti (in attesa di tampone) causasse classi scoperte e altri disagi di questa natura.
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