Scuole chiuse, scuole aperte. È il dilemma che affligge il ministero dell’Istruzione da ormai un anno, di fatto da quando è esplosa la pandemia. L’orientamento dei dirigenti del MI è sempre stato quello di mantenere le lezioni in presenza, ma poi a decidere (con lunghi periodi di chiusura) sono stati sostanzialmente gli esperti del Comitato tecnico scientifico. Sulla questione non sembrano tutti d’accordo. Al punto che si continuano ad alternare posizioni nettamente favorevoli alla frequenza delle lezioni in classe, ma anche fortemente contrarie e quasi inneggianti alla DaD, almeno sino a quando i rischi da Covid-19 non saranno ridotti al lumicino. Per sostenere le posizioni agli estremi – pro e contro – si sono creati anche associazioni, comitati e raggruppamenti.
Il 22 febbraio ben 17 mila persone autenticate ed altre 600 in attesa di autenticazione hanno aderito alla petizione del Comitato nazionale “Dad per tutti”, composto da genitori, docenti personale Ata: il presidente, Egidio Privitera ha preannunciato all’Adnkronos l’imminente presentazione di “esposti contro l’ex ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina e l’ex premier Giuseppe Conte per non aver provveduto alla sicurezza delle scuole”. Oltre che il “prossimo all’invio di una lettera al capo del Dicastero di viale Trastevere Patrizio Bianchi”.
I componenti del comitato si dicono pronti ad una “class action a tutela degli studenti per obbligare il Ministero ad adottare regolamenti più stringenti sul piano della salute”.
Ma l’azione è anche in difesa degli insegnanti, perché, sostengono “il contagio dei docenti è superiore tre volte al resto della popolazione. Chiediamo il covid come malattia professionale tabellata per avere la causa di servizio”.
“Daremo a Bianchi una settimana di tempo per decidere e poi procederemo con esposti penali anche eventualmente contro di lui come Ministro. Se a gennaio scorso avevamo chiesto la Dad, alla luce del veloce diffondersi dei contagi a causa delle varianti – ha detto Privitera – la nostra posizione oggi è ancora più ferma”.
Il Comitato dà il suo sostegno anche “ad Emiliano”, il presidente della Regione Puglia: “stiamo valutando – comunica – se costituirci in suo appoggio. Oggi uscirà una nostra lettera in favore del Governatore della Puglia”.
Ma non piace a tutti l’ordinanza regionale che ha disposto dal 22 febbraio al 5 marzo la didattica digitale integrata al 100% in tutte le scuole pugliesi. Anzi, per il Codacons rappresenta una “compressione del diritto fondamentale all’istruzione” con una “oggettiva ricaduta delle misure adottate sulla crescita, maturazione e socializzazione degli studenti, obiettivi propri dell’attività scolastica”.
A sostenerlo è l’avvocato Luisa Carpentieri nel ricorso presentato al Tar Puglia, per conto del Codacons Lecce e di un gruppo di genitori, per chiedere l’annullamento, previa sospensione della sua efficacia, dell’ultima ordinanza sulla scuola firmata dal presidente Michele Emiliano.
“Il presidente della Regione, ancora una volta terrorizzato da un potenziale aumento esponenziale dei contagi nelle scuole che ad oggi non ha ragione di esistere – si legge nel ricorso – ha stabilito la chiusura totale di tutte le scuole di ogni ordine e grado senza alcun riguardo alle evidenze epidemiologiche”.
“Ciò che ancora oggi, dopo quattro mesi di ordinanze dall’efficacia temporale sempre più ridotta, sfugge al presidente della Regione Puglia è che finora le scuole non sono state dei cluster di contagio, non più di quanto lo siano stati altri luoghi in cui si riunisce gente”, sostiene il legale.
“Ancora una volta – si legge nel ricorso – si confonde il mezzo con lo scopo. Lo scopo, ovviamente, è ridurre i contagi. Il mezzo, per il presidente della Regione pare essere solo l’esclusione della didattica in presenza, e ciò anche quando il mezzo migliore è indicato nelle pagine della sua stessa ordinanza: la rapida vaccinazione della popolazione”.
Il Codacons reclama, in conclusione, la mancata osservanza di un “diritto fondamentale: quello al lavoro, sia dei genitori, dilaniati nella scelta impossibile tra famiglia e lavoro, sia dei docenti, costretti, nel continuo balletto delle ordinanze, a reinventare la didattica quasi settimanalmente”.
Insomma, ancora una volta la scuola diventa terreno di scontro, anche su un tema come quello della frequenza delle lezioni. Con l’amministrazione viene tirata per “giacca” per andare e non andare in classe.
Non vogliamo entrare nel merito della diatriba: di certo, però, la netta sensazione è che il diritto allo studio diventi lo strumento per imporre altro. E questo non dovrebbe accadere, soprattutto perché al centro degli interessi dovrebbero esservi sempre gli alunni.
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