Fa così ancora una volta discutere, stavolta di fronte ai massimi vertici istituzionali, la sentenza del Consiglio di Stato che ha ripristinato di fatto l’ordinanza ministeriale del 15 marzo nella quale si indicava che le attività di religione debbano fornire crediti scolastici utili per la maturità. Il ministro ha in pratica ‘sposato’ in toto il parere dei giudici del Consiglio di Stato, secondo cui gli insegnanti di religione cattolica “partecipano a pieno titolo alle deliberazioni del consiglio di classe concernenti l’attribuzione del credito scolastico agli alunni che si avvalgono di tale insegnamento. Analoga posizione compete, in sede di attribuzione del credito scolastico, ai docenti delle attività didattiche e formative alternative all’insegnamento della religione cattolica, limitatamente agli alunni che abbiano seguito le attività medesime”.
Per il responsabile del dicastero di viale Trastevere senza questa sentenza invece “si sarebbe rischiato di pregiudicare significativamente la maggioranza degli studenti che hanno optato per l’insegnamento della religione cattolica o per le attività alternative e hanno la legittima aspettativa che tali attività possano essere valutate in sede di attribuzione del credito scolastico come concorrenti con altri crediti formativi che nelle nostre scuole vengono quotidianamente valutate”.
A ‘interrogare’ il ministro era stato l’on. Alba Sasso, secondo cui permangono concreti “rischi connessi ad una disparità di trattamento fra alunni che partecipano alle ore di religione e ne acquisiscono i conseguenti crediti, e quelli che, non partecipando, ne sono esclusi, dal momento che non è obbligatoria la frequenza delle attività sostitutive”.
Alla risposta di Fioroni, che ha ribadito l’attuale stato delle cose, l’on. Sasso ha replicato mettendo in evidenza i rischi che si corrono se non si risolverà in futuro questa contraddizione. “La scuola è luogo di confronto e di incontro, e va eliminata ogni ragione di diversità di trattamento che possa dipendere dalle scelte religiose o di altra natura”, ha replicato la Sasso. “Libera chiesa in libero Stato, lungi dall’essere un principio consegnato ai libri di storia – ha concluso l’on diessina – è ancora un’indicazione di stretta attualità”. Insomma, anche in sede parlamentare le due parti rimangono saldamente ferme sulle proprie convinzioni: non sembra esserci spazio per il confronto e il dialogo.
Di questo passo difficilmente si troverà una soluzione condivisa e a decidere se l’equiparazione della materia di religione a tutte le altre possa essere più o meno fattibile sarà ancora una volta il giudice di turno impegnato a giudicare l’ennesimo ricorso.
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