Cosa sta succedendo alla Gen Z? Se ne parla nel libro Schermi futuri, scaricabile gratuitamente sul schermifuturi.com realizzato in collaborazione con Ipsos, con la direzione scientifica dello psichiatra Paolo Crepet e promossa e finanziata da Unieuro.
Si tratta di un’indagine che ha coinvolto 1200 ragazzi tra i 14 e i 19 anni, attivi sui principali social (TikTok, Instagram, Twitch, Facebook, YouTube, Twitter). Dall’analisi è emerso che possono essere identificate 8 comunità di giovani: ci sono gli esuberanti spensierati (18%), per cui i social sono una naturale continuazione della reale vita sociale, i bramosi di ammirazione (20%), che vivono in prevalenza al Sud e nelle grandi città come Roma e per i quali l’obiettivo è apparire e gli audaci per emergere (15%). Poi ci sono i pacati riflessivi, i poetico-passionali, i genuini concreti, gli introversi taciturni e per finire i tenebrosi isolati (5%).
A chiarire ciò che sta succedendo alla Generazione Z, anche grazie ai dati dell’indagine, è lo psichiatra Paolo Crepet, con alcune dichiarazioni rilasciate al Corriere della Sera.
L’esperto afferma: ” I giovani vanno valutati nella loro multidiversità. Non pensiamoli sempre con la testa dentro lo smartphone. È vero, c’è un raggruppamento che pensa solo a questo, ma non sono tutti così”.
E sul rapporto scuola-studenti precisa: “Io credo che si debba puntare molto sulla scuola. Sulla scuola, lo Stato può intervenire, sulle famiglie non direttamente. Prendiamo il caso dei ragazzi introversi o di quelli che si isolano. Se vanno in una scuola che nel pomeriggio organizza corsi ricreativi, come danza o teatro o altre proposte, allora dà a queste categorie uno strumento per uscire dal disagio. Io da ragazzo avevo molte ragioni per uscire: prendevo il motorino, andavo al bar a giocare a biliardo, stavo con gli amici. Ma se questo mondo si impoverisce, perché dovrei uscire, invece che stare in un mondo virtuale, che crea appartenenza? Non posso prendermela con chi non esce, devo stanarlo, devo sperare che ci sia una famiglia con un minimo di vita e devo sperare nella scuola, perché il giovane possa trovarvi un supporto emotivo dinamico. Anche la scuola potrebbe usare la tecnologia come incentivo cerebrale e non di spegnimento cerebrale. Perché non inserire tra le materie anche la ricerca su Google o YouTube? Sarebbero strumenti eccezionali di conoscenza e distrarrebbero, invece dai social”.
Ma Crepet si sofferma anche sull’aspetto dell’ansia: “Se io, ragazzo, vivo in un momento in cui tutti attorno a me – genitori, insegnanti, giornali – parlano di ansia, la probabilità che io diventi ansioso è enorme. Quanto ai suicidi, se nella scuola c’è un ragazzo che si è tolto la vita, bisogna affrontare il tema con gli alunni, perché di quella morte i ragazzi e le ragazze continueranno a occuparsene in maniera angosciata e magari senza strumenti per avvicinare quel dolore”.
Lo psichiatra lancia anche una frecciatina ai genitori: “I 40-45enni sono nati in un momento in cui di tecnologia c’era quasi nulla. Per la prima volta, i genitori fanno le stesse cose che fanno i figli: usano le chat, si mettono in posa sui social. Questa fratellizzazione genitoriale non è mai successa nella storia dell’umanità. Arrivano a geolocalizzare i figli: ecco, io penso che in questi casi arriviamo alla patologia pura. Padri e madri non devono mai stare sullo stesso piano dei figli: noi siamo capitani, loro ragazzi”.
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