Attualità

Criminale di guerra e premio Nobel, la storia di Fritz Haber

Se la prima guerra mondiale non è durata pochi mesi lo si deve praticamente solo a lui e alla sua invenzione. Che doveva invece servire a salvare il mondo dalla fame.

Fritz Haber, classe 1868, dopo aver lavorato nella azienda chimica del padre studiò all’università di Heidelberg e Berlino. Caparbio e instancabile lavorò diciassette anni per trasformare azoto e idrogeno in ammoniaca e con l’aiuto di Carl Bosch e dell’azienda chimica BASF elevò questo metodo a processo industriale.

Il risultato noto ancora oggi come processo Haber-Bosch fu la soluzione a un problema gigantesco: produrre in quantità e a basso costo fertilizzanti per rinforzare un’agricoltura che non stava al passo con la crescita demografica e garantire così una produzione alimentare adeguata.

Ma quando il ciclo fu a pieno regime l’Europa era già in guerra e così il processo Haber-Bosch si trasformò nell’elemento portante dell’industria bellica tedesca, soprattutto per la produzione di esplosivi. Senza questo metodo innovativo, l’esercito tedesco sarebbe rimasto presto a corto di nitrati e la guerra sarebbe probabilmente finita prima.

Fervente sostenitore del conflitto tanto da firmare il celebre manifesto dei 93 intellettuali che lodavano apertamente l’entrata in guerra del Kaiser, Haber si arruolò con il grado di capitano nel 1915. In questa veste coordinò personalmente l’uso dei primi gas a base di cloro che diedero il via a quella guerra chimica che causò mezzo milione di morti orribili su tutti i fronti.

Addirittura: il rapporto tra quantità di gas, esposizione e mortalità è quantificato in una formula che porta il suo nome. Tra le vittime di questa pratica atroce si conta anche la moglie di Haber, la chimica Clara Immerwahr, che sconvolta dall’attività del marito si sparò al cuore con la sua pistola di ordinanza.

Nel dopoguerra Haber tornò ad occuparsi di agricoltura. Interessantosi agli insetticidi mise a punto la sintesi dell’acido cianidrico, con il nome commerciale di Zyklon B. E ancora una volta la scoperta di Haber avrebbe avuto un’inaspettata quanto nefasta applicazione: durante la seconda guerra mondiale i nazisti usarono proprio lo Zyklon B per uccidere milioni di persone nelle camere a gas.

Ironia della sorte anche Fritz Haber era ebreo e nonostante l’intercessione diretta del grande Max Planck, Hitler non ne volle sapere e si adirò a tal punto da pronunciare la celebre frase: “Se la scienza non può fare a meno degli ebrei, noi in pochi anni faremo a meno della scienza”.

Il chimico ebreo fu dunque costretto alla fuga nel 1934 e proprio durante il viaggio morì a causa di un infarto.

Ma torniamo per un attimo alla prima guerra: dopo la sconfitta Haber rischiava di essere processato come criminale di guerra e fu costretto a una rocambolesca fuga in Svizzera. Tuttavia, nel 1918, dopo uno dei dibattiti più violenti e divisivi della comunità scientifica internazionale, gli fu conferito il Nobel per la chimica “per la sintesi dell’ammoniaca” e dunque per gli enormi benefici che questo processo aveva portato all’umanità.

Se non fosse scoppiate la guerra Haber oggi sarebbe probabilmente ricordato come un benefattore per aver diffuso i fertilizzanti in tutto il mondo.

Invece il conferimento di un premio che da sempre dovrebbe essere l’incarnazione prima di tutto di valori scientifici, quindi pacifismo, internazionalismo, fratellanza e benessere, ad Haber ideatore della guerra chimica, fervente sostenitore di una Germania militarista crea un roboante paradosso.

Ci ricorda che per essere davvero all’altezza dei suoi valori, la scienza necessita di un clima realmente democratico, pacifico e internazionalista.

Dario De Santis

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