Immaginiamo un condominio di sette piani con segni di cedimento strutturale, tali da rendere urgenti immediati lavori di consolidamento a partire dalle fondamenta. Come valuteremmo il comportamento dei condòmini, se essi, anziché decidere di salvare il palazzo, discutessero sul colore delle superfici esterne e sulla piscina da costruire nel superattico?
Qualcosa di simile avviene sulla Terra oggi. La crisi climatica — lo afferma la comunità scientifica dell’intero pianeta — sta per diventare insanabile, e già genera 20 milioni di sfollati all’anno. Urgono misure di mitigazione, nonché di adattamento del nostro modello di sviluppo ai danni già irreversibili arrecati al clima.
Cosa fanno, invece, quasi tutti gli otto miliardi di homo sapiens? Se ne infischiano. Quasi che a pericolare non fosse la casa in cui vivono. La diseducazione ambientale impera: informazione e Scuola sono l’unica speranza per porvi rimedio. La crisi climatica è un fatto oggettivo, scientificamente indiscutibile. Non è qualcosa cui si possa “credere” o “non credere”: è un dato di fatto, ed ha la potenza distruttiva di un meteorite.
La situazione è così grave — soprattutto in Italia, uno dei Paesi più esposti alla catastrofe incombente — che, se tutto continuerà secondo il “Business-As-Usual”, fra 70 anni la temperatura media estiva del Nord Italia crescerà di otto gradi rispetto all’attuale; di conseguenza la Pianura Padana somiglierà al Pakistan attuale, e Torino avrà il clima di Karachi.
«E chi se ne frega», pensa però l’italiota medio, abituato da secoli a cavarsela con la “furbizia” imparata dagli avi. Tuttavia la furbizia non può darci l’acqua potabile, né può regalarci il frumento per fare il pane. In Pakistan non si producono né “grana padano” né “Barbera”, perché è il clima pachistano a non consentirlo.
«Ma tanto avverrà fra 70 anni», aggiunge l’italiota di cui sopra. Non capisce che il cambiamento non sarà indolore, né per lui né per figli e nipoti: sarà invece il punto d’arrivo di 70 anni di pene, dolori, siccità, alluvioni devastanti, tornado, uragani, repentine staffilate di gelo in inverni tiepidi, ondate di calore intense e lunghissime, migrazioni di milioni di sventurati in cerca di salvezza, guerre per l’approvvigionamento idrico.
Solo dal 1980 la temperatura cresce di anno in anno (come previsto fin dagli anni ’50): eppure il paesaggio italiano è già profondamente modificato. Alcuni ghiacciai sono estinti (quelli alpini si sono ridotti di oltre il 50% in un secolo), e tutte le coste sono già profondamente erose dal mare.
Se i ghiacci della sola Groenlandia collassassero tutti insieme (evento sempre più probabile), gli oceani crescerebbero tutti improvvisamente di sette metri! L’italiota di cui sopra avrebbe un bel cercare una spiaggetta su cui rilassarsi (quand’anche non gli importasse nulla della sorte di Venezia, Ravenna, Napoli, Pisa, Genova, Bari, Siracusa, e via orripilando)!
Il mancato rispetto degli accordi di Parigi, portando a due gradi l’innalzamento medio della temperatura terrestre rispetto all’era preindustriale, innescherebbe ulteriori meccanismi di riscaldamento (“retroazioni intrinseche”), che accelererebbero il surriscaldamento stesso.
I poli, ad esempio, sono le zone che si riscaldano più velocemente: qualora i ghiacci artici si sciogliessero, il mare sottostante assorbirebbe tutto il calore solare, aumentando la velocità del surriscaldamento generalizzato. Effetto identico avrebbe lo scioglimento del permafrost siberiano, che libererebbe enormi quantità di metano (gas serra molto più potente della CO2).
A quel punto nessun potere umano fermerebbe più l’innalzamento della temperatura, che schizzerebbe fin oltre cinque gradi in più (otto secondo gli scenari peggiori) entro il 2100, trasformando per decine di millenni il pianeta in una palla di fuoco.
Darwin ha dimostrato che non sopravvivono i più forti, ma i più adatti. Con cambiamenti così violenti e rapidi (come mai prima nella storia del nostro pianeta!), a sopravvivere non sarebbero i più muscolosi, né i più ricchi, né i più spietati, né i più forniti di condizionatori all’avanguardia. Sopravvivrebbero invece gli organismi adatti a digerire qualsiasi cibo, a bere acqua non potabile, a non ammalarsi, a figliare di continuo, vivendo poco e riproducendosi spessissimo: caratteristiche attualmente possedute da simpatiche creature come ratti e scarafaggi; non dagli umani. A decidere non sarebbero più né i politicanti né i loro amici petrolieri, ma le leggi di natura.
Davvero vogliamo lasciare ai nostri figli e discendenti un mondo ridotto così? Ridotto così da noi, dal nostro modello di sviluppo, dalle nostre multinazionali dei combustibili fossili, dai politicanti loro complici. Il livello massimo di CO2 nell’era preindustriale era di 300 ppm (parti per milione). Oggi siamo a 417 ppm: i carotaggi nel ghiaccio antartico dimostrano che un livello così alto di gas serra non si era mai verificato prima negli ultimi 800.000 anni; ma i fossili vegetali provano che questo pericolosissimo record vale persino per gli ultimi 23 milioni di anni!
Secondo Donato Speroni — segretariato ASVIS (Alleanza italiana per lo Sviluppo Sostenibile) — l’informazione giornalistica ha il dovere di dare l’allarme, facendo finalmente capire a tutti la gravità della situazione. Lo stesso possono e devono fare gli insegnanti, nelle cui mani è il potere di svegliare le coscienze dei cittadini del domani.
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