Di recente, proposito della “crisi” del Liceo Classico, Stefano Feltri s’è espresso sul quotidiano Domani (che dirige dal 2020). Fin dal titolo del suo editoriale, l’ottimo giornalista si chiede se davvero la crisi del Liceo classico sia una cattiva notizia: propendendo, ovviamente, per il no. Difatti, citando le parole scritte sul Corriere della Sera da Massimo Gramellini, sostiene che l’argomentazione di quest’ultimo, secondo la quale il liceo classico fornisce «muscoli per andare ovunque», sarebbe “il più classico degli argomenti di questo dibattito”.
Poi però, per negarla, anche Feltri finisce per prodursi in un argomento altrettanto classico: la maggior parte dei laureati in discipline tecnico-scientifiche proviene dal liceo scientifico anziché dal classico. Tale evidenza, desunta dal nuovo rapporto Almalaurea, dimostrerebbe che il liceo classico è utile solo per iscriversi poi a corsi di laurea umanistici: dunque con “un futuro professionale incerto”; ergo, meglio non iscrivervisi affatto (Feltri non lo dice espressamente, ma tra le righe lo si legge molto chiaro).
Lapidaria sentenza: «i difensori del classico dovrebbero portare qualche argomento più concreto per invertire la tendenza». Quasi esistesse un club di “difensori del classico” interessati a difendere — chissà per quale mania conservatrice, o smania da “bastian contrari”, o interesse privato — un polveroso museo di anticaglie mascherato da scuola moderna, residuo di un ingombrante e inutile passato, che impastoierebbe il nostro Paese impedendogli di diventare ricco e potente.
Se si analizzassero i numeri, come fa Feltri, svincolati da qualsiasi ragionamento che prescinda dai numeri, non si potrebbe che dargli ragione. Così come gli si darebbe ragione se sconsigliasse ai laureati italiani di insegnare a scuola, visto il modo in cui questo Paese tratta gli insegnanti delle scuole sotto l’aspetto economico e giuridico (violando — peraltro — vari articoli della propria Costituzione). Il problema è che Feltri usa i numeri ad uso e consumo di una tesi che già ha assunto a priori. Quindi il suo ragionamento, a ben vedere, non dimostra nulla.
In un precedente articolo abbiamo già evidenziato come la “crisi” del liceo classico sia dovuta a scelte politiche non casuali degli ultimi 30 anni: un vero e proprio sabotaggio non solo del classico, ma della Scuola italiana nel suo complesso. Ed è anche per questo che il classico risulta oggi meno appetibile. I dati citati da Feltri, tuttavia, confermano pure che i laureati in materie tecnico-scientifiche provengono comunque soprattutto dal liceo scientifico, dove si studiano latino e filosofia (altrimenti non potrebbe definirsi “liceo”). Pertanto anche la loro preparazione scientifica (che dalla filosofia nasce) è impiantata su solide basi umanistiche. Basi però forse non necessarie secondo Feltri, perché ormai superate dai tempi?
Se tanto mi dà tanto — sembra dire il giornalista — cari ragazzi, mollate il liceo classico, liberatevi della cultura umanistica, non valorizzate le capacità critiche che questa cultura può conferirvi (i “muscoli” di cui giustamente scrive Gramellini), perché in Italia sono inutili. Anzi, controproducenti. Servono ai vecchi tromboni convinti che la società non vada solo accettata così com’è, ma anche cambiata per migliorarla e renderla più umana, attraverso l’arte, la letteratura, la filosofia, il ragionamento. Servono solo agli illusi: quelli consapevoli che arte, filosofia, letteratura, musica sono le caratteristiche uniche e specifiche dell’homo sapiens sapiens, che lo distinguono dalla bestia, e fanno bella la vita; molto più della tecnologia rivolta al cosiddetto “utile”.
Che poi — ci chiediamo noi — è utile davvero? Per quale progetto di società presente e futura? Quella neoliberista, che accumula miliardi nelle tasche di una ristrettissima oligarchia di miliardari e fa crepare di fame e di sete miliardi di sventurati?
Non solo la Storia, ma anche il grigio presente dimostrano che in nome dell’“utile” interi popoli sono sterminati e son cancellate culture straordinarie, mentre la stessa sopravvivenza della specie umana è messa in forse: tutti lo sanno, ma se ne preoccupa solo chi non fa dell’”utile” un moloc cui sacrificare tutto. Se ne cruccia chi vive nella ricerca del bello, del giusto, del vero: magari consapevole che non li troverà mai del tutto né per sempre; ma che la stessa semplice ricerca dell’utopia, quanto meno, renderà questo mondo più umano.
Il liceo classico forse non preparerà al guadagno e all’“utile” (che sarebbe invece facile da realizzare con studi scientifici e tecnici): assunto tutto da dimostrare, comunque, visti i non pochi manager e dirigenti d’azienda laureati in filosofia (tra cui persino un certo Sergio Marchionne). Che però esista un Paese come l’Italia, custode della cultura degli antichi (e quindi di ciò che resta d’un patrimonio culturale fondamentale per la sopravvivenza e la felicità della specie) è necessario per l’umanità intera. E la cultura classica fa dell’Italia (col suo liceo classico) il Paese che ha dato i natali ai più grandi scienziati del mondo, non solo ai più grandi artisti, musicisti e letterati: non certo per superiorità razziale, ma per la sua straordinaria e antichissima ricchezza culturale, unica nel pianeta.
Considerato tutto ciò, Feltri ci perdoni se pensiamo che sì, la diminuzione degli studenti iscritti al classico è una pessima notizia: non per i professori di greco e latino, ma per l’Italia e per il suo futuro. E quindi per la società umana, di cui l’Italia è parte imprescindibile.
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