• Stimolare una maggiore consapevolezza dei contenuti disciplinari acquisiti tramite la seconda lingua
• Formare ad una conoscenza “complessa” e “integrata” del sapere
• Educare ad un approccio interculturale del sapere • Favorire l‟educazione plurilingue.
• Sviluppare negli alunni una migliore padronanza della lingua straniera attraverso lo studio in un’altra lingua di contenuti disciplinari in situazioni di apprendimento “reale” L’approccio CLIL ha infatti il duplice obiettivo di focalizzarsi tanto sulla disciplina insegnata che sugli aspetti grammaticali, fonetici e comunicativi della lingua straniera che fa da target veicolare.
In un’interrogazione parlamentare (Interrogazione a risposta in commissione 5-01536 presentata da Manuela Ghizzoni giovedì 21 novembre 2013, seduta n. 123) sono evidenziate le seguenti criticità:
a) carenza di docenti in possesso delle necessarie competenze linguistiche certificate e metodologiche, con conseguente ricorso a conversatori madrelingua o a personale esterno che svolge attività di compresenza: tali soluzioni, assunte per consentire lo svolgimento di insegnamenti curriculari che dovrebbero invece essere garantite dal personale in organico, sono peraltro affrontante attingendo ai fondi propri della scuola, in gran parte provenienti dal contributo volontario delle famiglie. A tale proposito, sarebbe preferibile valutare il coinvolgimento dei docenti di lingua, sia nell’ipotesi di una loro interazione didattica con i docenti del progetto CLIL, sia per intraprendere la loro formazione disciplinare su aree di competenza coerenti con i loro pregressi percorsi formativi;
b) assenza di un riconoscimento economico dei docenti coinvolti, nonostante l’indubbio aggravio di lavoro;
c) insufficienti iniziative di formazione dei docenti di discipline non linguistiche, mentre le reti regionali promosse dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca per la formazione CLIL non risultano del tutto operative. Alcune scuole hanno attivato altre reti, locali e focalizzate su particolari necessità, ma si tratta per lo più di iniziative autonome che comunque soffrono della mancanza di risorse economiche. Non si può peraltro non sottolineare che un insegnamento impartito in lingua straniera richiede una formazione prolungata e specifica, necessaria a conseguire la certificazione delle competenze linguistiche dell’insegnante pari al livello C1: a tale proposito, è acclarata la consapevolezza – anche in ambienti ministeriali – che per realizzare tale obiettivo di competenza linguistica dei docenti occorrerebbe almeno una decina d’anni. A tale proposito, non pare congrua la proposta di abbassare ad un livello B2 le competenze richieste ai docenti, per il fatto che tale livello corrisponde a quello che gli stessi studenti raggiungono a conclusione dell’istruzione secondaria e che risulta essere inadeguato per impartire l’insegnamento di una disciplina curriculare non linguistica;
d) rimodulazione della programmazione didattica, con inevitabile riduzione dei contenuti delle discipline curricolari, spesso di indirizzo;
e) incertezza nei criteri di valutazione, che oscilla tra l’accertamento delle competenze linguistiche e quelle disciplinari;
f) indeterminatezza relativa allo svolgimento degli esami di Stato per le discipline individuate dalle singole scuole con modalità CLIL, in particolare rispetto alla valutazione, ai contenuti e all’individuazione dei commissari d’esame;
g) assenza di sussidi didattici specifici, sia su supporto cartaceo sia digitale e scarsa diffusione di adeguata strumentazione informatica nelle scuole a supporto del metodo CLIL.