Ha scatenato reazioni catena l’ultima sentenza delle sezioni unite civili della Corte di Cassazione che sull’esposizione del Crocefisso in classe ha detto che può legittimamente essere esposto “allorquando la comunità scolastica valuti e decida in autonomia di esporlo, nel rispetto e nella salvaguardia delle convinzioni di tutti, affiancando al crocifisso, in caso di richiesta, gli altri simboli delle fedi religiose presenti all’interno della stessa comunità scolastica”.
La sentenza si rifà all’insegnante ternano laico Franco Coppoli, che nel 2009 aveva messo il crocefisso nel cassetto dell’aula dell’Istituto professionale di Stato dove insegnava Italiano e Storia, per poi riappenderlo a fine lezione: il docente il 16 febbraio del 2009 fu sospeso dall’Usr per un mese, dopo la stessa “sentenza” espressa dal Consiglio di disciplina del Cnpi qualche giorno prima.
Adesso il prof, a distanza di quasi tre lustri, si dice soddisfatto per l’evoluzione della vicenda giudiziaria. A colloquio con l’Ansa, Coppoli dice che “in un Paese in cui i privilegi della Chiesa sono sedimentati” si sente “assolutamente soddisfatto che dopo 13 anni sia stata riconosciuto che nessun dirigente della pubblica amministrazione può imporre in maniera autorativa l’affissione di un simbolo religioso, in quanto collide con il principio di laicità dello Stato”.
“Peccato che i giudici non abbiano ancora mostrato coraggio sotto il profilo della questione discriminatoria verso le altre religioni”, ha sottolineato.
In ogni caso, ha aggiunto, “le mie ragioni vengono affermate, in quanto finalmente viene detto che imporre il crocefisso in un ufficio pubblico è in contrasto con la Costituzione. Per quanto fosse facile dedurlo non era altrettanto facile ottenerlo”.
Coppoli ha quindi ricordato che secondo la Cassazione è possibile, in caso di richiesta, affiggere anche altri simboli religiosi, chiarendo che non debbono essere “le maggioranze ad imporre i loro simboli nelle aule”.
“Noi, come insegnanti – ha concluso il docente -, vigileremo su questo aspetto. Si tratta di una battaglia civile, per evitare discriminazioni delle minoranze rispetto a presunte maggioranze”.
Ad essere soddisfatto, tuttavia, è anche Giuseppe Metastasio il dirigente scolastico, ora in pensione, dell’istituto professionale di Terni dove nel 2008 Coppoli decise di riporre il crocefisso.
“Ho letto attentamente la sentenza e – ha detto l’ex preside sempre all’Ansa – condivido quanto affermato dai giudici, cioè che esporre il crocifisso nelle scuole non è un atto discriminatorio, basta che a volerlo sia la ‘comunità scolastica’. L’istituto da me diretto allora si è comportato esattamente allo stesso modo, ha rispettato la volontà di tutta la comunità”.
“Premetto che io non sono credente: il crocifisso – ha aggiunto Metastasio – non l’ho voluto io, ma l’intera classe all’unanimità, in cui tra l’altro c’erano anche musulmani e ortodossi. Sono stati poi coinvolti tutti gli organi collegiali, compresa l’assemblea d’istituto degli studenti, che ha preso una posizione chiara sulla questione”.
Dunque “tutta la comunità scolastica partecipò e io – prosegue – intervenni a tutela dell’agire corale della scuola, della volontà, della sensibilità e dell’autonomia degli studenti”.
Secondo Metastasio, fu semmai “il docente, di fatto, ad imporre le proprie opinioni, incurante di quello spirito pluralista e ‘laico’ di cui si professa sostenitore”.
Come già affermato in una circolare firmata all’epoca dei fatti, secondo l’ex dirigente scolastico la scelta degli studenti fu “coerente con la cultura italiana, che ha nel pensiero cristiano una componente fondamentale”.
“Un’affermazione – commenta – che va pienamente nella direzione indicata dalla Corte”.
Il rammarico per il professor Metastasio è che “questa sentenza arrivi ben 13 anni dopo i fatti”. “Quella comunità che partecipò con grande animo alla vicenda – conclude – oggi non c’è più: gli studenti sono diventati donne e uomini di 30 anni, i docenti sono tutti in pensione e l’istituto stesso si è trasformato, dopo la fusione con altra scuola”.
I Cobas, che hanno patrocinato il ricorso del docente, però interpretano la sentenza a favore del prof sospeso.
“Nella sentenza è affermato che l’autorità pubblica non può promuovere con effetti vincolanti — e dunque con implicazione sanzionatoria per chi entri in contrasto con quella prescrizione — un simbolo religioso, neanche con la semplice e passiva esposizione silenziosa su una parete”, sostiene il sindacato.
“Nella sentenza – continuano i Cobas – si ricorda che l’affissione del crocefisso nelle scuole è stata imposta dal fascismo, che subito dopo la marcia su Roma iniziò quel processo di affiancamento della chiesa cattolica che portò ai patti lateranensi nel febbraio 1929”. Ma “oggi non esiste più alcuna religione di Stato e la laicità dello Stato è un principio costituzionale fondamentale come ribadito dalla Cassazione con questa sentenza”.
Sempre i Cobas hanno tenuto a dire che “la scuola non è “un servizio a domanda”: la circolare del dirigente scolastico era illegittima anche perché basata solo sulla richiesta della maggioranza degli studenti, senza tener conto delle diverse esigenze rappresentate dalla minoranza degli studenti e dallo stesso professor Coppoli”.
Per i Cobas, “la Corte propone a titolo esemplificativo tre possibilità: a) l’affissione sulla parete accanto al crocefisso di un simbolo rappresentativo della cultura laica; b) una diversa collocazione spaziale del crocefisso non alle spalle del docente; c) l’uso non permanente della parete con il momentaneo e rispettoso spostamento del crocefisso durante l’ora di lezione del docente, che è esattamente il comportamento tenuto dal prof Coppoli , che a fine lezione rimetteva il crocifisso sulla parete”.
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