Crocifisso a scuola, l’udienza alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo
Ha una kippah sul capo. E’ un ebreo osservante. Ed insegna diritto in America, la patria del “separatismo”.
Joseph Weiler difende davanti la Grande Chambre della Corte europea dei Diritti dell’Uomo le memorie di Armenia, Bulgaria, Cipro, Grecia, Lituania, Malta, Federazione russa e Repubblica di San Marino, alcuni dei Paesi che si sono schierati in favore della posizione italiana riguardo la questione del crocifisso nelle aule scolastiche.
“Uno Stato non è obbligato nel sistema della Convenzione dei diritti umani a sposare la laicità”, afferma il grande giurista. E porta l’esempio della Gran Bretagna. “Dall’altra parte del Canale –continua- c’è l’Inghilterra nella quale c’è una Chiesa di Stato, in cui il capo dello Stato è anche il capo della Chiesa, i leader religiosi sono membri, di diritto del potere legislativo, nel quale la bandiera reca la croce e l’inno nazionale è una preghiera a Dio di salvare il monarca, e concederli vittoria e gloria”.
Ieri ha preso le mosse alle Corte dei Diritti dell’Uomo, organo giurisdizionale deputato al controllo del rispetto della Convenzione europea della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo firmata a Roma nel 1950 e, attualmente, sottoscritta dai 47 Paesi membri del Consiglio d’Europa, il riesame della sentenza dello scorso 3 novembre.
La Corte allora, accogliendo il ricorso di una cittadina italiana di origini finlandesi, Solie Lautsi, aveva sentenziato che il simbolo cristiano sarebbe dovuto essere rimosso dalle aule scolastiche perché lesivo del diritto dei genitori di educare i figli secondo le loro personali convinzioni religiose e della libertà religiosa dei bambini. All’Italia però la sentenza non era andata per niente giù. Ed aveva così presentato immediatamente ricorso.
Ad aprire l’udienza ieri, alla Grande Chambre, è stato l’avvocato Nicolò Poletti in difesa di Solie Lautsi. Il legale ha precisato che non si tratta affatto di una battaglia ideologica ma piuttosto di una battaglia per la laicità dello Stato (anche se la tesi non torna, in quanto, come già aveva ricordato il governo italiano a fine aprile, la donna è appartenente all’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti).
Eppure là in aula a difendere il Crocifisso, oltre al giurista ebreo con la kippah, ci sono pure dieci stati tra i quali alcuni di religione ortodossa ed un team di legali statunitensi di cui molti protestanti.
Nicola Lettieri, rappresentante legale dell’Italia, ha parlato di “battaglia politica che non ha niente a vedere con i diritti umani”. In altre parole per Lettieri, in nome della libertà religiosa non si può negare la stessa. La difesa italiana ha poi posto l’accento sul fatto che il crocifisso non imponga alcun indottrinamento né fa proselitismo. Ed errata è la concezione di chi vede nella laicità l’esclusione a priori del sacro dalla sfera pubblica.
La sentenza della Grande Chambre adesso è prevista entro sei (o addirittura dodici) mesi. Tutto il tempo necessario per una lunga riflessione alla luce pure di quanto è stato discusso. L’unica cosa certa al momento è che –come ha sottolineato oggi Avvenire, il quotidiano dei vescovi italiani-, qualunque sarà le decisione, “il dibattimento di ieri alla Grande Chambre è destinato comunque a segnare non il passato, ma il futuro dell’Europa”. La Gelmini: “Attendo con grande fiducia l’esito del ricorso contro la sentenza che abolisce la presenza del Crocifisso nelle scuole pubbliche. Il governo italiano ha coinvolto molti altri Paesi in una battaglia a difesa di un simbolo che non minaccia il principio di laicità ma che, al contrario, rappresenta i valori alla base della civiltà occidentale, fondata sul rispetto della dignità della persona e della sua libertà. La storia di un Paese non si può cancellare”.