Torna viva l’annosa polemica sulla presenza dei simboli religiosi nelle scuole. A riaccenderla sono state le parole del ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti sul tema del crocifisso nelle aule scolastiche: “credo in una scuola laica, ritengo che le scuole debbano essere laiche e permettere a tutte le culture di esprimersi non esporre un simbolo in particolare”, ha detto Fioramonti durante la trasmissione Radio Rai “Un giorno da pecora”.
Durante la giornata, sono diverse le dichiarazioni contrarie al pensiero del ministro “grillino”. Tra i primi a scagliarsi contro Fioramonti, è stato lo Snadir, guidato da Orazio Ruscica: “è una polemica prettamente strumentale e mistificatoria, utile solo alle dinamiche del voto e del consenso politico e attenta più a paralizzare il dibattito che ad alimentarlo con contenuti ragionati”, ha fatto sapere il sindacato dei docenti di religione.
“Nel nome di una malintesa laicità – proseguono dal sindacato -, si preferisce oggi snaturare ogni elemento identitario collegato alla nostra cultura cattolica, fino a privare un simbolo culturale come il Crocifisso della sua natura simbolica positiva facendolo diventare l’emblema di esasperazioni identitarie e nazionaliste e l’inammissibile privilegio della religione cattolica sulle altre. Chiaramente non è così”.
“Non tutti sanno – continua lo Snadir – che la scelta di esporre il Crocifisso nelle nostre classi è il risultato di una serie di operazioni inclusive compiute dalla nostra legislazione dall’epoca risorgimentale a oggi”.
Il Crocifisso è collocato nelle scuole italiane per impulso della Legge Casati del 1859 e per il Regio Dec. 15 settembre 1860, n. 4336 che lo prevedeva in ogni scuola, mentre il Decreto 6 febbraio 1908, n. 150, confermò il simbolo e l’insegnamento religioso nelle scuole elementari.
Con lo stesso spirito inclusivo, la presenza del Crocifisso in alcuni spazi pubblici è stata mantenuta in epoca concordataria (1929), ed è passata successivamente al vaglio del Consiglio di Stato e della Corte Costituzionale, nonché della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu).
L’ultima pronuncia giurisdizionale sul tema è arrivata nel 2011 dalla Grande Camera della Corte europea per i diritti dell’uomo che, accogliendo un ricorso dell’Italia, ha definitivamente ritenuto legittima la sua esposizione dichiarando che la presenza in classe di questo simbolo non lede né il diritto dei genitori a educare i figli secondo le proprie convinzioni, né il diritto degli alunni alla libertà di pensiero, di coscienza o di religione.
Secondo lo Snadir, “una cosa è la laicità, un’altra è pretendere che dalla nostra vita scompaiano i simboli che ci richiamano alle nostre origini.
Il Crocifisso difatti non è solo un oggetto di culto, ma un simbolo capace di esprimere valori che appartengono alla comunità civile oltre che a quella religiosa, come ad esempio la valorizzazione della persona, la tolleranza e il rispetto reciproco”.
E anzi, per la sua alta valenza di rispetto raffigura proprio i valori su cui poggia la stessa laicità dello Stato e ha allo stesso tempo la forza e il potere di riportare alla memoria la nostra identità e le nostre radici.
Ora il Crocifisso, al di la del significato salvifico che ha per i credenti, può avere un significato laico. Può essere segno delle sofferenze e del dolore dell’uomo. Può essere segno dei limiti, delle preoccupazioni, delle ansietà, delle nostre solitudini, delle malattie, della vecchiaia, della morte”.
A questo proposito, lo Snadir conclude citando la scrittrice Natalia Ginzburg, che nel 1988 scriveva sul giornale: “il crocifisso è simbolo del dolore umano. La corona di spine, i chiodi evocano le sue sofferenze. La croce che pensiamo alta in cima al monte, è il segno della solitudine nella morte. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino. Il crocifisso fa parte della storia del mondo”.
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