Gli effetti abbinati delle ultime riforme sulle pensioni stanno producendo un turn over sempre più lento. I primi dati provenienti dall’Inps sui pensionamenti del 2013 parlano chiaro: lasceranno il servizio più o meno la metà di quelli che sono andati in pensione l’anno prima. Tutta la pubblica amministrazione è coinvolta in questo fenomeno, che tra qualche anno porterà ad abbandonare il lavoro almeno 5 anni dopo rispetto a quanto accadeva sino a poco tempo fa in Italia. Le donne dovranno avere, infatti, almeno 65 anni. E gli uomini 67. A meno che non abbiano incamerato almeno 40-41 anni di contributi.
La scuola non è da meno. Anzi, è tra i comparti dove il fenomeno è più visibile. I primi resoconti che provengono dagli Ust confermano il sensibile calo dei numeri. A Roma, ad esempio, nel settembre scorso andarono in pensione quasi in 2mila; alla fine del corrente anno scolastico lasceranno meno di 900, tra docenti e Ata. Praticamente, nemmeno la metà.
Ed in alcune aree del Meridione va ancora peggio: si può parlare di un vero e proprio crollo dei pensionamenti. Due casi emblematici sono quelli di Benevento e Trapani, dove a fine estate scorsa se ne andarono dalla scuola circa 220-230 dipendenti per provincia. Oggi dalle prime indicazioni ufficiose sembra che i pensionamenti non arriveranno a quota 80.
Ciò significa che ci sarà meno spazio per i precari in lista di attesa. Certo, non si può generalizzare. Ci sono classi di concorso e province nelle quali i posti vacanti già esistono. E gli effetti non saranno così devastanti. Ma in linea di massima si può già dire che il ricambio sarà rallentato. Soprattutto per i precari storici non è una bella notizia. Anche perché, sempre da quest’anno, dovranno cominciare a dividere le loro assunzioni in ruolo con i vincitori del concorso a cattedra ancora in corso. Cui dovranno cedere oltre 7mila posti. Poi ci sono da “smaltire” gli idonei residui del vecchi concorsi. Soprattutto del 2000, ma anche quelli banditi nel 1990. E non bisogna dimenticare i candidati al ruolo che nella scuola hanno la precedenza perché in possesso di un’invalidità severa.
Insomma, il rischio fondato è che per gli oltre 200mila presenti nelle graduatorie ad esaurimento rimanga davvero poco. Si dovranno continuare ad accontentare, quindi, delle supplenze annuali. Che però, a loro volta, proprio per effetto del ridotto turn over e delle probabili assunzioni, saranno ridotte all’osso. Così, non pochi di loro si ritroveranno addirittura a lavorare con le graduatorie d’istituto. Come accaduto ad una precaria di tedesco da 34 anni. Di cui proprio oggi dà notizia l’Anief: “è l’incredibile storia professionale di una donna laureata in lingue e letterature straniere, che ha iniziato a firmare contratti a tempo determinato nella scuola pubblica, come docente di lettere, nel lontano 1979”, spiega il sindacato autonomo. “Come lei, con percorsi professionali travagliati e senza mai aver tagliato il traguardo dell’agognato ruolo, ci sono tantissimi colleghi: decine di migliaia di candidati che hanno iniziato la loro carriera da insegnanti nei primi anni Ottanta”.
Anche se l’età media delle immissioni in ruolo sfiora i 40 anni di età anagrafica, sono tantissimi, decine di migliaia, gli ultra-cinquantenni, con concorsi, abilitazioni, master e specializzazioni incamerati, ancora al palo. In attesa del posto fisso.
“Le colpe di questi record da terzo mondo sono tutte da arrecare all’inefficienza dello Stato e dei Governi che si sono succeduti – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief – . Sono loro, le istituzioni, che li hanno condannati a vestire il ruolo di precari a vita. Solo per motivi di risparmio della spesa pubblica si continua infatti, imperterriti, a derogare alla direttiva comunitaria, la 1999/70/CE, che da 13 anni impone agli Stati che fanno parte dell’Ue di assumere tutti i lavoratori che hanno svolto 36 mesi di servizio nell’ultimo quinquennio. Come si continua a non tenere conto del decreto legislativo 368/01, che dava seguito a questa direttiva a livello nazionale. Per non parlare dell’oltraggio che si perpetra nei confronti dell’articolo 1 della Costituzione”.
In soccorso del precari potrebbe però venire incontro la Consulta: se dovesse approvare i ricorsi presentati dai cosiddetti “Quota 96”, che hanno chiesto di considerare come data limite tra vecchia e nuova riforma non il 31 dicembre 2011 introdotto dalla Legge Fornero, ma il 31 agosto 2012, si libererebbero alcune migliaia di posti. La sostanza non cambierebbe, ma almeno si libererebbe un po’ di ossigeno per una categoria sempre lasciata al suo destino.