Le forme femminili riferite a ruoli istituzionali o professioni che stanno entrando nell’uso comune sulla scia dei progressi in campo lavorativo, professionale e istituzionale compiuti dalle donne sono perlopiù termini “trasparenti” per quanto riguarda la loro struttura morfologica perché seguono le più comuni modalità di formazione dei nomi.
Lo scrive l’Accademia della Crusca, che precisa:
Esistono però anche termini la cui formazione è meno trasparente e che possono generare qualche esitazione a usarli.
I termini maschili testimone, pasticciere e scultore, nonostante abbiano tutti la desinenza –e, hanno una struttura morfologica diversa: testimon-e ha una struttura di tipo (a) mentre pasticc-ier-e e scul-tor-e hanno una struttura di tipo (b). Per questo le forme femminili corrispondenti sono testimone, pasticciera e scultrice.
Altre parole presentano una forma in –a identica per il maschile e il femminile singolare, che fa pensare a una struttura di tipo (a): è il caso di fiorista (il fiorista, la fiorista). In realtà la struttura è di tipo (b) perché contiene il suffisso greco, invariabile, –ista. La struttura di questo termine è dunque fior–ista e non *fiorist-a, e infatti non esiste la forma maschile *fioristo!
Vediamo alcune forme femminili “problematiche” perché, rispettivamente, non erano state mai o solo scarsamente usate in passato (medica), oppure sono in concorrenza con altre più conosciute (poeta e direttora) o pongono dubbi riguardo alla loro declinazione plurale (pilota). Vediamo nel dettaglio questi casi.
Medica è “accettabile”? E dire medichessa “è possibile”?
In entrambi i casi la risposta è affermativa perché entrambe le forme sono attestate nella letteratura fin dai primi secoli.
È opportuno usare poeta anziché poetessa? E direttora anziché direttrice?
Le forme poeta in riferimento a una donna e direttora si sono affiancate alle più note poetessa e direttrice
L’introduzione di poeta al posto di poetessa si lega alla richiesta di evitare le forme in –essa sostituendole con forme senza suffisso: avvocata, dottora, professora, studente, ecc. anziché avvocatessa, dottoressa, professoressa, studentessa.
Queste forme senza suffisso tuttavia, con l’eccezione di avvocata, non hanno avuto successo. Ma ciò non deve sorprendere perché, come regola generale, tra due forme prevale generalmente quella di più antica attestazione e quindi più nota e diffusa. L’italiano, lungo tutta la sua storia, testimonia l’uso del solo termine poetessa (mentre poeta è riservato solo all’uomo) per la donna che si dedica all’arte poetica, almeno fino dal Quattrocento.
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Il femminile di pilota può essere pilotessa? E se no, qual è il plurale?
La declinazione del termine è uguale a quella di altri termini di origine greca in –ota (per es. idiota e patriota). Al singolare esce quindi in –a sia per il maschile sia per il femminile (pilota, ma i dizionari ottocenteschi attestano anche la forma piloto), mentre al plurale esce in –i per il maschile (piloti) e in –e per il femminile (pilote).
La forma pilotessa risulta attestata solo in anni recentissimi ed è modellata su altri termini in –essa, v. il titolo “Da pilotessa di guerra a profetessa dei droni”
Costituisce quindi un neologismo non necessario, vista la possibilità di usare anche al femminile la forma pilota.
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