Da un po’ di tempo ci si chiede quale sia diventato il reale ruolo del Cts. Ad alcuni sembra ormai ridotto a “ufficio stampa” del Governo, limitandosi nella sostanza a ratificare decisioni già prese, invece di dettare direttive o quanto meno suggerimenti come era previsto (immagino) nelle premesse della sua costituzione come Comitato tecnico scientifico.
Di ieri ad esempio la notizia data con una certa enfasi che il Cts ha indicato al Governo di prorogare lo stato di emergenza sino al 31 luglio prossimo, ma in realtà di proroga probabile al 31 luglio ne aveva già parlato lo stesso Esecutivo una settimana fa, come riporta il sito di QF (Qui Finanza). E se invece prevarrà la scelta del Governo (ammesso che non sia formalizzata la crisi) che secondo qualche suo componente sembrerebbe, dalle ultime notizie, orientato a una proroga al 30 aprile (per poi magari prorogare comunque successivamente sempre al 31 luglio), non sarà comunque un bel segnale per il Cts: in tal caso significherebbe che il Governo non tiene comunque in alcun conto le proposte del Comitato, a meno che non siano a sostegno delle scelte dello stesso Esecutivo!
Insomma, gli interventi del Comitato tecnico scientifico spesso sembrano avallare quanto già considerato dal Governo. O almeno sembra così soprattutto se si leggono alcune esternazioni di Agostino Miozzo, che del Cts è il coordinatore. Anche se resta il dubbio se parli a nome di tutto il Comitato tecnico scientifico o piuttosto personale o di una parte soltanto del Cts. Perché il fatto che nel Comitato tecnico scientifico ci siano opinioni talvolta anche decisamente contrastanti (e non da ora) sembra assodato: un esempio risale già all’ottobre scorso e lo possiamo documentare dettagliatamente grazie a un articolo del “Corriere della Sera”, che lascia intravvedere una notevole divergenze di vedute fra quelli che nello stesso articolo sono definiti “vertici degli organismi della Salute” (nomi di illustri medici) e quelli definiti “i tecnici”.
Miozzo ha sempre affiancato la ministra Azzolina nel sostenere l’urgenza del ritorno della didattica in presenza anche nelle scuole di istruzione secondaria di II grado. Addirittura abbiamo letto una sua dichiarazione che ci ha lasciati davvero perplessi: “Dobbiamo riportare i nostri ragazzi a scuola, costi quel che costi”. Costi quel che costi?! Non ritenendo ovviamente che il dott. Miozzo (sempre di medico si tratta, anche se non è né un virologo, né un infettivologo, né un epidemiologo – peraltro si contano sulle dita di una mano specialisti di tali discipline mediche dentro il Cts – perché nel suo curriculum è specificato che dopo la laurea vanta come titolo un perfezionamento in chirurgia ostetrico ginecologica, conseguita nel 1982) uno che possa volere rischiare sulla pelle di alunni e lavoratori della scuola, ci si domanda allora: ma si rende conto che bisogna misurare le parole, soprattutto chi ha un ruolo pubblico come il suo?!
Eppure durante l’audizione del 2 dicembre in Commissione cultura della Camera dei deputati, Agostino Miozzo ha tra l’altro affermato che “il personale della scuola è in cima alle priorità dei vaccini e anche gli studenti delle scuole superiori che hanno una grande possibilità di trasmissione del virus”. Quindi quella precedente frase appare ancora più incredibile!
Il coordinatore del Cts ha anche affermato che “il momento scolastico è un momento di sicurezza, il contagio è precedente o posteriore nella gran parte dei casi”, ma in un’altra occasione aveva detto che “i dati ci dicono che è difficile discriminare che l’infezione di un ragazzo sia avvenuta a scuola piuttosto che nei momenti precedenti o successivi” (cosa condivisibile, ma ben diversa dalla prima delle due affermazioni riportate).
Come abbiamo già chiesto in un altro precedente articolo: ma dottor Miozzo che differenza fa se gli studenti “prendono il virus” su un autobus, davanti alle scuole (talvolta senza mascherine all’entrata o all’uscita, magari abbracciandosi fra di loro) o in un’aula scolastica, prima di rientrare a casa. Magari asintomatici?
In una intervista pubblicata lo scorso 17 dicembre dal quotidiano Il Giorno, Miozzo parla di un “duro lavoro” portato avanti affinché gli istituti scolastici possano riaprire in presenza il 7 gennaio, mente sui possibili impedimenti sembra non voler cedere: “non ci fermeremo solo perché qualche scienziato ha detto che c’è il rischio di una esplosione della pandemia”, ha detto il coordinatore del Cts.
Anche se poi, il 4 gennaio, con scenari epidemiologici purtroppo molto preoccupanti, sembra ‘correggere il tiro’ (non si sa mai, e non facendo ammenda ovviamente di quanto ‘fieramente sostenuto’, forse un po’… frettolosamente, neppure venti giorni prima): in una intervista alla Gazzetta del Mezzogiorno dice sostanzialmente che “sulla riapertura delle scuole decidono le regioni”. Secondo il coordinatore del Cts Agostino Miozzo ogni singola regione conosce i propri punti di forza e di debolezza, “quindi la responsabilità dei governatori è quella di decidere se il territorio è pronto o no ad accogliere i ragazzi all’interno delle scuole”.
E così hanno fatto, hanno riflettuto e tenendo conto anche dei dati allarmanti hanno deciso (prendendosi alcuni di loro accuse di “tradimento” da parte di Azzolina e Granato), peraltro secondo quanto consentito dal Governo nazionale, cioè un eventuale inasprimento delle restrizioni in base ai dati epidemiologici in possesso delle singole regioni. Ma poi dopo le consuete “proteste” quasi irate della ministra Azzolina, Miozzo ha parlato di incongruenza (proprio lui!) da parte di diversi presidenti di regione.
“Mesi di dad – afferma Agostino Miozzo, come leggiamo su “Dire.it” – significa che, per i nostri ragazzi, per oltre un intero anno non avranno seguito la scuola in presenza, tenuto conto delle nostre prime chiusure del 4 marzo 2020, quando decidemmo che la scuola non era sicura. Un anno in questo modo non è accettabile. La scuola non è scevra dal rischio di contagio. Il centro europeo per il controllo delle malattie ci ha fornito uno studio che ci dice quali sono i livelli di rischio nelle scuole, in Europa, e ci dice che il livello di rischio è analogo a quello che è presente in altre attività produttive, all’esterno dell’ambiente scolastico”.
Il fatto è che la scuola non è un’attività produttiva, ma formativa (per cittadini istruiti e possibilmente non solo “asserviti consumatori” in possesso di “competenze” che però non scaturiscono da adeguate “conoscenze”) con buona pace di Confindustria e soci. Un “servizio essenziale” se qualcuno preferisce questa definizione, ma non una attività produttiva.
E tra l’altro perché “decisero” a marzo che la scuola non era sicura su tutto il territorio nazionale, quando per esempio nelle regioni del Sud la situazione era molto meno preoccupante di adesso e dove ora invece si vuole tenere ostinatamente le scuole aperte (anche le superiori e anche nelle altre regioni ovviamente) nonostante il parere allarmato sui contagi da parte delle autorità sanitarie nazionali e regionali? Non toccava anche al Cts dare un ponderato parere al Governo nei mesi della scorsa primavera?
A chi qualche tempo fa gli faceva notare che il rischio poteva essere elevato nel voler riaprire in questa fase le scuole (peraltro rimaste aperte per molti insegnanti ed alunni, anche le scuole superiori), Miozzo dichiarava: “Rispondo con il messaggio del governo inglese che annunciando il lockdown totale ha lasciato aperte le scuole”. Infatti‼ E ora le hanno repentinamente chiuse, come sino al 31 gennaio saranno chiuse in Germania e in diversi altri Paesi europei rimarranno chiuse anche per parte della seconda metà del mese di gennaio. Oppure come in Grecia dove asili ed elementari hanno riaperto dopo otto settimane di chiusura (gli studenti più grandi continuano in Dad).
E Miozzo di fronte alle raccomandazioni suggerite da molti esperti virologi, epidemiologi, infettivologi (d’altra parte purtroppo inascoltati, a volte quasi con fastidio, già la scorsa estate), sentenziava (come leggiamo in una intervista di Fiorenza Sarzanini per il Corriere della Sera): “Alcuni scienziati che vedo spesso in tv non hanno capito (o non vogliono capire) che Covid-19 non è un’ emergenza sanitaria, ma una crisi globale che comprende ovviamente temi sanitari ma anche sociali, politici, economici, di sicurezza del territorio, di relazioni internazionali”. Ma forse essendo tali scienziati dei medici pensano che il loro dovere sia innanzitutto salvare vite.
Ma a parte qualche incongruenza già segnalata, con dichiarazioni che a volte smentiscono almeno in parte quanto affermato giorni prima, stupiscono e lasciano interdette alcune esternazioni che a volte appaiono da “festival dell’ovvietà” ed altre che potrebbe fare anche un comune cittadino: sulle soluzioni il coordinatore del Cts recentemente ha detto che “la migliore dovrebbe essere il lockdown totale, ma non possiamo permetterci di chiudere il Paese fino a che non si raggiunga l’immunità di gregge con le vaccinazioni”. E per dire ciò ci vuole la “scienza” di un Comitato tecnico scientifico, o forse sarebbe meglio dire di Agostino Miozzo? Perché, come detto, sembra che qualche spaccatura ci sia anche all’interno dello stesso Cts, non tutte le posizioni sono allineate, su diversi argomenti, anche quello riguardante la scuola (solo che alla fine emerge mediaticamente soprattutto la voce di Miozzo).
Un po’ meno scontata la seguente frase, che però desta qualche… sussulto: “Bisogna convivere e consentire qualche apertura che fa salire la curva”.
Infine ricordiamo quando lo scorso mese di dicembre in audizione in Commissione cultura si chiedevano a Miozzo dati più aggiornati, relativi ai contagi, e lo stesso coordinatore del Comitato tecnico scientifico ha replicato che a loro i dati vengono comunicati visto che “il Cts non ha un proprio istituto di ricerca”. Questo è vero, però ci si potrebbe allora domandare che consigli possa dare il Comitato se non conosce neppure i dati in base ai quali dovrebbe decidere (o meglio: consigliare). Forse anche per questo secondo alcuni sembra prevalere una certa linea che somiglia alla ratifica delle decisioni governative?
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