Che la Bozza proposta dal Ministro Bianchi, avente per oggetto il reclutamento dei docenti, la formazione e l’aggiornamento degli stessi, sia stata accolta da una valanga di critiche da sindacati e lavoratori è un dato di fatto. Ma Bianchi, sempre ottimista, aveva promesso che molte cose potevano ancora cambiare prima del varo della “riforma”, che dovrà avvenire, in omaggio ai tempi imposti dal PNRR, entro il 30 giugno 2022.
Nel confronto tra prima e seconda Bozza (quella approvata dal Consiglio dei Ministri pochi giorni fa) emerge un solo, sintetico commento: sempre peggio. Sul reclutamento ci limitiamo ad una estrema sintesi: il neo-docente assurgerà al tempo indeterminato dopo un buon numero di prove iniziatiche ed un discreto numero di anni, in parte impiegato ad accumulare CFU, pagando il dovuto: il commercio di CFU, per gli Enti che li possono mettere sul mercato, è lucroso.
Oggi, 24 CFU costano una cifra variabile tra 500 e 700 euro. Proponiamo, agli amanti dei “compiti di realtà” un facile problema: quanto costeranno i 60 CFU previsti dalla riforma? Ma non finisce lì: per il neo-docente assurto al cielo del tempo indeterminato, le prove continueranno. Approderà, insieme con i suoi colleghi più anziani, all’aggiornamento, che si distingue in obbligatorio e volontario.
L’aggiornamento obbligatorio inizierà dal 2023-2024 e prevede “nell’ambito dell’orario di lavoro una formazione obbligatoria che si incentra sulle competenze digitali e sull’uso critico e responsabile degli strumenti digitali”. La Bozza parla di “orario di lavoro” e non di “orario di servizio”, con l’evidente intenzione di far slittare le ore obbligatorie di aggiornamento verso le 40 ore previste per le attività collegiali. L’aggiornamento obbligatorio riguarda, sempre in omaggio al PNRR e ai ruggenti anni del mai tramontato berlusconismo, una delle “tre I”: Internet. Più “succoso” l’aggiornamento volontario.
Nella prima Bozza originaria si prevedeva “un sistema di formazione e aggiornamento permanente degli insegnanti articolato in percorsi di durata almeno quadriennale […] Al fine di incentivarne l’accesso è previsto un meccanismo di progressione salariale accelerata per gli insegnanti di ogni ordine e grado del sistema scolastico.” Nella Bozza del 22 aprile 2022, invece gli anni previsti per il “sistema di formazione permanente” sono scesi da quattro a tre ed è sparita l’accelerazione della carriera: si torna all’ “incentivazione salariale”, di cui abbiamo visto nei decenni i bei risultati e che, di fatto, è stato il principale motore della trasformazione delle scuole in squallidi “progettifici”.
Quali sono le risorse che dovrebbero “attuare l’incentivazione”? Viene “istituito un Fondo per l’incentivo alla formazione la cui dotazione è pari a xxx milioni di euro a decorrere dall’anno 2027. […]con l’obiettivo di riconoscere tale incentivo in maniera selettiva non generalizzata”. Dunque, è messa a disposizione dell’aggiornamento la cifra “xxx” – ognuno interpreti come vuole. Noi vediamo, in quell’ “xxx”, un banale atto mancato, che però rivela dove stia il centro del problema: spendere sempre meno soldi per la scuola. E per carità, che questi “incentivi” non vengano concessi “a pioggia” (orrore!) ma che siano distribuiti “ in maniera selettiva non generalizzata”.
Letta la seconda Bozza ci risulta chiaro:
a) che nascerà un altro Ente di dubbia utilità sociale, ma utilissimo per chi ne farà parte, la Scuola di Alta Formazione, unico aspetto ben descritto, persino nel dettaglio, all’interno della Bozza (art. 16 bis);
b) che i docenti si vedranno costretti a seguire, fuori dall’orario di servizio, corsi di aggiornamento obbligatori dedicati all’uso degli strumenti digitali (la “I” di Internet è ancora il faro che guida l’educazione!); i neo-immessi in ruolo saranno costretti a seguire anche l’aggiornamento volontario.
E se anche tutti gli altri docenti volessero aggiornarsi volontariamente?
Facciano pure, ma non si aspettino tutti l’incentivo, perché la Bozza ci ricorda che, nelle more, “l’attribuzione dell’incentivo salariale selettivo nei termini che possa essere riconosciuto a non più del 50 per cento di coloro che ne abbiano fatto richiesta”.
Sui contenuti dell’aggiornamento che si possono intuire dalla Bozza, stendiamo un velo pietoso: nessuna persona di media cultura può sopportare l’asfittica pedagogia di Stato che, come un alito pesante, circola nelle Bozze ministeriali. L’analisi precedente dimostra che ci governano dilettanti e che l’intenzione di migliorare la scuola italiana non esiste.
Le proposte alternative, invece, non mancherebbero. Noi consideriamo l’aggiornamento una cosa seria: auspicheremmo che si desse modo, periodicamente, agli insegnanti di sospendere il servizio e dedicarsi allo studio. Studiare è impegno e fatica (che chi ci governa non abbia mai studiato?): non si può studiare a spizzichi e bocconi, mentre si fa un lavoro faticoso com’è quello dell’insegnare.
Si immaginino periodi sabbatici, da svolgersi presso le Università statali e che prevedano, alla fine del percorso, esami approfonditi, degni di una persona adulta e laureata. Quanto all’accelerazione della carriera, sfumata tra la prima e la seconda Bozza per evidenti motivi di bilancio, il Ministro pensi alla vergogna di uno Stato che, dopo aver fatto percorrere ad una persona laureata un’orrenda gimcana costellata di CFU, prove, esami, balzelli lo “premi” alla fine del percorso con un lavoro molto impegnativo, ricompensato con uno stipendio misero e che non aumenterà di un centesimo per ben lunghi nove anni (la più lenta progressione di carriera dell’area OCSE).
A differenza dei sindacati che minacciano azioni di sciopero, la CUB Scuola, con altri sindacati di base, sciopererà ANCHE per l’insulto costituito da questa Bozza il prossimo 6 maggio. Se i lavoratori della scuola non faranno sentire la propria voce, scivoleranno sempre più in basso. Ne abbiamo avuto le prove nell’ultimo quarto di secolo: è tempo di riprendere in mano il nostro destino.
Giovanna Lo Presti
Portavoce Cub Scuola