È giusto che gli insegnanti debbano pagarsi da soli una polizza privata che ne copra almeno in parte i rischi legati alla responsabilità civile connessa alla propria professione? È ragionevole che le enormi responsabilità civili e penali gravanti sulla professione docente — e in parte anche sugli ATA — non siano riconosciute con una retribuzione adeguata?
Com’è noto, il D.Lgs. 29/1993 ha ricompreso i docenti delle scuole (ma non quelli delle università) nel Pubblico Impiego. Al contempo il rapporto di lavoro del P.I. veniva privatizzato; gli aumenti stipendiali venivano perciò legati alla fantomatica “inflazione programmata”, stabilita ogni anno dal governo in carica (controparte datoriale del P.I. stesso). Eppure il lavoro di un impiegato non è carico delle stesse responsabilità che gravano sui docenti: dunque, già solo per questo, può forse un docente esser considerato impiegato?
In base all’articolo 28 della Costituzione «I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici».
Può, per questo motivo, un impiegato esser condannato a pagare centinaia di migliaia di euro perché un utente allo sportello si infortuna gravemente davanti a lui? Ovviamente no; a meno che non sia stato l’impiegato stesso a provocargli un danno (cosa molto improbabile). Può l’usciere di un ministero esser ritenuto responsabile se un utente si getta nella tromba delle scale? Naturalmente no; a meno che non ce l’abbia gettato lui.
Il collaboratore scolastico o l’insegnante, invece, se un bambino si getta dalle scale, possono esser condannati per omessa vigilanza (culpa in vigilando). La condanna può comportare l’esborso di cifre insostenibili per qualsiasi docente o ATA del bel Paese, viste le bassissime e umilianti retribuzioni del personale scolastico italiano.
La responsabilità è inversamente proporzionale all’età degli alunni, ma è comunque presente, anche nel caso in cui un alunno provochi danni terzi.
Lo stesso accade se un minore commette qualcosa di illecito o provoca danni: la legge, infatti, attribuisce la responsabilità dell’illecito a chi sia tenuto alla sorveglianza di persone non in grado di comprendere le conseguenze delle proprie azioni. La responsabilità viene meno soltanto se chi è tenuto alla sorveglianza dimostra l’impossibilità materiale di impedire quanto accaduto. Tutto ciò ai sensi degli articoli 2047, 2048 (che investe anche i genitori in caso di culpa in educando), 2049 e 2947 del Codice Civile.
È stata addirittura riconosciuta la responsabilità dei docenti in caso di omessa vigilanza su episodi di bullismo, che il personale scolastico è tenuto a segnalare.
Ma non finisce qui: le conseguenze di fatti drammatici, che possono coinvolgere il personale scolastico per culpa in vigilando, facilmente sconfinano nel diritto penale. È già accaduto più volte. Difatti, l’articolo 40 del Codice Penale, al secondo comma, stabilisce che «Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo». Ossia: chi non impedisce un delitto o un fatto grave pur potendo almeno tentare di impedirlo, è in qualche modo colpevole di quel delitto o fatto grave. In tal caso solo poche sono le polizze assicurative che offrono — al massimo — qualche forma di tutela legale, ossia il rimborso parziale delle spese legali per la difesa dell’imputato. Anche perché «La responsabilità penale è personale» (Costituzione, articolo 27).
Sorge allora spontanea la domanda: i docenti che accompagnano gli alunni fuori dall’edificio scolastico per visite culturali giornaliere o addirittura in viaggi d’istruzione — magari all’estero — sono consapevoli dei rischi spaventosi cui si espongono? Sono coscienti di esser quasi del tutto indifesi di fronte alle esorbitanti responsabilità che incombono su di loro?
Lo sono sicuramente quanti stipulano privatamente polizze di assicurazione — sborsando tra i 100 e i 200 euro all’anno — per tutti i 43 anni del proprio lavoro, benché questa spesa vada ad erodere i loro già scarsi introiti. Lo sono anche tutti quanti non accompagnano mai i ragazzi in gite, visite o viaggi d’istruzione, consci che già il lavoro quotidiano in classe è enormemente pieno di rischi: basta non esser presenti in aula nel momento in cui capita qualcosa di grave ad un allievo — qualunque sia la causa dell’assenza di chi in quel momento è tenuto alla sorveglianza — per esser ritenuti responsabili civilmente (e talora anche penalmente).
Per incolpare insegnanti di bimbi e ragazzi tra i 4 e i 14 anni, basta che i docenti non vigilino attentamente sul comportamento dei minori all’uscita da scuola, prima dell’arrivo dei genitori o dei mezzi di trasporto su cui devono salire. Anche questo è accaduto più volte.
Tutti i docenti, che non si assicurino e/o che accompagnino tranquillamente gli alunni fuori dalla scuola, sono privi di difesa, e si affidano alla buona sorte e alla Provvidenza divina (o a “Santa Pupa”, come si dice a Roma). Non sarebbe quindi doveroso che lo Stato li tutelasse? O, quantomeno, non sarebbe degno di un Paese civile che i docenti e gli ATA venissero retribuiti in modo più ragionevole e più consono alle responsabilità che gravano sulle loro spalle, e che potrebbero causarne la rovina totale? Ancora una volta, quello dei bassi stipendi nella Scuola italiana non è un problema sindacale, ma una questione di civiltà, e dice molto di tutti i governi italiani — nessuno escluso — degli ultimi 35 anni.
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